A passeggio con John Keats (pedinando Cortázar)



A passeggio con John Keats
di Julio Cortázar 
traduzione di Elisabetta Vaccaro, Barbara Turitto, Elido Fazi
Fazi Editore, febbraio 2021

pp. 672
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

In un momento in cui il dibattito sulla didattica si ripresenta con più forza e urgenza che mai, è inevitabile ripensare a quanto i maestri che abbiamo trovato sulla nostra via siano stati capaci di farci amare un autore, un periodo storico, un’opera d’arte.
I più beati possono arrivare a contarne due, tre, quattro al massimo.
Per tutti gli altri, per fortuna ci sono libri come A passeggio con John Keats, appena tradotto per Fazi Editore da Elisabetta Vaccaro e Barbara Turitto, mentre le poesie sono affidate a Elido Fazi.

Un testo denso, a metà strada fra il saggio di critica letteraria e il romanzo, con splendidi tocchi autobiografici, in cui Julio Cortázar, superbo inventore del Gioco del mondo e delle Storie di cronopios e di famas, ci parla come fosse il professore di letteratura che chiunque di noi avrebbe desiderato e insieme l’amico colto e appassionato che spiega cosa per lui sia poesia, dove trovarla, dove cercarla, come affrontarla.
E ci racconta il poeta John Keats a figura intera, giovane medico inglese di estrazione modesta ma sconfinata capacità di visione, morto a Roma a venticinque anni nel 1821 e segnato dalla malattia, ma capace di cambiare per sempre la storia della letteratura mondiale con una manciata di componimenti. Keats per Cortázar era un poeta da tasca, “dove si mettono le cose che contano, le mani, i soldi, il fazzoletto. Una tasca è la casa essenziale che l’uomo porta sempre con sé; occorre scegliere ciò che è imprescindibile, e solo un poeta vi può entrare”.
Dunque compagno di strada e allo stesso tempo viandante di cui ripercorrere le orme, in un viaggio fisico e metafisico nelle assolate terre italiane o nelle brume di Scozia, ma anche nelle stradine e nei caffè di Buenos Aires.

Le costellazioni, diceva Jean Cocteau, non sanno di essere tali e c’è bisogno di uno sguardo dall’esterno che le crei, e Cortázar si fa per noi telescopio e caleidoscopio insieme.
Parte dal generale, dal romanticismo, dai poeti contemporanei di Keats e da quelli amati e studiati da John e arriva al cuore della sua poesia passando con disinvoltura dai testi alle lettere, la corrispondenza con amici e familiari che T.S. Eliot ha definito “la più pregevole e importante mai scritta da poeta inglese” e che ha il pregio di illuminare la via ai lettori che verranno dopo. “Lo scrittore”, ci ricorda Cortázar, “lavora per il futuro, perché il futuro sarà il suo presente, il tempo in cui raggiungerà totalità e verità.”

A dispetto infatti dell’attitudine classicista che per anni lo ha relegato “fra i più abominevoli dei neoclassici” e dunque escluso e sostanzialmente fatto ignorare fino al termine del secolo, Keats è un romantico in termini di originalità - “da origine: l’opera meno sottomessa possibile”, dice Cortázar - e tempo, anche se molto lontano dai canoni elegiaci ed esotisti e da un genere, quello confessionale, che non utilizzerà mai (e infatti il ciclo di poesie dedicate all’amata Fanny Brawne non era destinato alla pubblicazione).
È invece la sua rivendicazione di “libertà dell’atto poetico, sicuro che in quest’ultimo risiede la pienezza dell’uomo” che lo rende moderno:

Un inesauribile scroscio
di luce è la poesia; il supremo dei poteri;
una potenza semiaddormentata sul proprio braccio destro. 

la definisce in uno dei suoi primi componimenti, Sonno e poesia. E in questa potenza semiaddormentata Cortázar ravvisa “l’intera previsione della poesia contemporanea, le porte di Ipno che si aprono per lasciare entrare gli alimenti puri, gli itinerari della libera immaginazione”.
Che il lettore sia dunque un appassionato di poesia, o assiduo lettore dell’Endimione (Cortázar  di quando in quando si rimprovera un’eccessiva parzialità, una mancanza di obiettività causata dal suo amore per il poeta inglese, del quale confessa di rileggere ogni due anni l’Endimione, insieme ai Tre Moschettieri e a Morte a Venezia) o conosca invece a malapena L’ode su un urna greca, poco importa: Cortázar riesce a dare un respiro straordinario a John Keats, fino a renderlo un suo alter ego e a (di)spiegarlo interamente davanti ai nostri occhi.
Un uomo il cui nome fu forse scritto nell’acqua, ma le cui opere, belle come la verità, vere come la bellezza, sono preziose come sorsate di ottimo vino.

Giulia Marziali