L'amore che salva: "Come fiori nel gelo notturno" di Maria Segato



Come fiori nel gelo notturno
di Maria Segato
Harper Collins, 2021

pp. 301 
€ 17,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
 

Al centro di tutto stanno le domande. Ogni insegnante lo sa: una parte fondamentale del suo compito è quella di provare a (cor)rispondere a una ricerca di senso che gli studenti continuamente gli sottopongono, magari anche in tono provocatorio, ma sempre con una profonda sete di verità. Anche il romanzo di Maria Segato si apre così, con l’interrogativo essenziale che la protagonista pone a una professoressa di lettere poco attenta: “Ci dovrebbe spiegare cosa c’è di vivo nelle cose morte, non crede?” (p. 17). Perché laddove manchi questa capacità, la capacità di restituire alla vita i contenuti del manuale, il messaggio si disperde nel tempo, nel vuoto dell’insensatezza. Nella domanda di Iris, sedicenne con già troppo dolore alle spalle, c’è tutta la sfida rivolta a una professione che, se affrontata con testa e cuore, non rimane mai soltanto tale, ma finisce per diventare un modo di essere, di rapportarsi al reale e agli altri. Se la professoressa Draghi (“di nome e di fatto”, p. 16) non riesce a farsi carico di questi interrogativi, la sua sostituta ha invece un’altra tempra, una diversa sensibilità. Chiara Gigli ha sofferto e sa interrogarsi, comprende che è necessario aprirsi all’ascolto e imparare, oltre che insegnare, per poter entrare in contatto, e forse aiutare davvero, i suoi studenti. La sua non è solo una vocazione, ma un apprendimento lento, che si realizza giorno per giorno, una difficoltà affrontata e superata dopo l’altra, in un confronto con gli allievi che – nella loro ostinata gioventù – hanno comunque tanto da dare. Deve farlo, per evitare di cadere nella trappola più pericolosa di tutte, quella della disattenzione, della noncuranza verso il prossimo:
Perché si possono fare le cose di tutti i giorni senza cercare quel pezzo di infinito che si agita dentro ciò che si incontra. Perché alle volte, noi uomini, ci perdiamo nelle crepe che le giornate portano con sé. E non ce lo ricordiamo di cercare se c’è qualcosa che resiste nel dolore; se c’è qualcosa che continua a nascere attraverso le ferite. (p. 58)
È dunque Chiara a intravedere il talento di Iris sotto il cappuccio nero della felpa perennemente sollevato, a intuire la sua ricerca quasi disperata di qualcuno in grado di guardare oltre i suoi silenzi o le sue ribellioni, di vederla non solo come un problema irrisolvibile, ma come la giovane donna che sta diventando. Nell’entrare nella nuova classe, la professoressa deve mettersi in gioco, affrontando le fragilità dei suoi studenti, valorizzandone le forze ancora sotterranee.
Tra le pagine di un romanzo dal forte afflato lirico, di fianco a Iris, a combattere una battaglia non così diversa, c’è anche il suo compagno di classe Manfredi. Se Iris le domande le fa clamorosamente, a gran voce, Manfredi le sue cerca di metterle a tacere, per non dover fare i conti con quel “vuoto silenzioso e inaccessibile” (p. 34) che gli scava dentro. Non intuisce ancora, almeno finché Iris non glielo insegna, che il silenzio può e deve essere ascoltato, accolto. Che si deve continuare a cercare l’infinito anche se la quotidianità rischia di travolgerlo. L’incontro tra i due ragazzi, al cuore di quella ricerca esistenziale che è propria di ogni percorso di crescita, è anche la chiave d’accesso a un sentimento nuovo, mai provato, l’amore totale, quello che illumina e salva. E, inaspettatamente, ad accompagnarli in quella direzione sono parole immortali che si rianimano nel contesto di una nuova giovinezza. Grazie a Chiara, che sa tradurla e renderla accessibile anche ai suoi studenti, la Commedia dantesca si rivela infatti ai protagonisti come un linguaggio universale, la grande allegoria di come l’amore aiuti a evadere dall’inferno che può diventare l’esistenza. Attraverso l’analisi dei canti, Iris e Manfredi iniziano a ragionare sul proprio dolore, ma anche sul modo in cui è possibile uscirne passandoci attraverso, smettendo di fuggire e iniziando a guardarlo dritto negli occhi.
Come fiori nel gelo notturno è un’opera piena di ragazzi fragili, ma a differenza di quanto avviene in molti altri romanzi che parlano di adolescenti, vi trova spazio anche il mondo adulto, che non viene ritratto sempre come lontano e inconsapevole. Certo, ci sono alcuni insegnanti disillusi e cinici, alcuni genitori distratti o egoisti, ma ci sono anche uomini e donne in grado di diventare punti di riferimento, di offrire conforto, di preoccuparsi attivamente per il bene dei propri giovani (da Chiara stessa alla nonna Adele, dal montanaro Dino alla mamma di Iris, che pur nell’assenza continua a far trovare alla figlia briciole di pane per uscire dalla foresta). Ognuna di queste figure aiuta in diversa misura i protagonisti a scoprire e farsi custodi della bellezza che hanno dentro.
Con parole delicate che delineano una prosa carica d’immagini, Maria Segato ci racconta una bella storia d’amore e di formazione, e al contempo riflette sulle relazioni generative che aiutano i giovani a diventare grandi – e i grandi a mantenere sempre la giovinezza negli occhi.
 
 
Carolina Pernigo