Ciò che nel silenzio non tace
di Martina Merletti
Einaudi, 2021
pp. 271
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Passato e presente sono dimensioni che si intrecciano e non c'è modo di sfilarsi da quanto è accaduto a noi o alle nostre famiglie. Nel suo romanzo d'esordio, Ciò che nel silenzio non tace, Martina Merletti cattura con la sua penna una storia realmente accaduta durante la Seconda guerra mondiale, e lascia che la sua protagonista la riscopra passo dopo passo, stando attenta a non cadere nel rischio di replicare quanto vissuto in un romanzo storico tradizionale. L'attenzione è invece sulla ricaduta che quel passato può aver avuto sul presente di tante persone, non soltanto su quello di Aila, che vuole far luce su quanto sua madre le ha solo suggerito. Lei sa di avere un fratello da qualche parte: quel neonato è stato salvato da una suora, che lo ha nascosto in un carrello di panni sporchi e lo ha portato fuori dal carcere de Le Nuove di Torino, prima che sua madre venisse deportata come detenuta politica.
Fantasia e ricerca storica si uniscono a creare una storia che vede come protagonista questa giovane donna, che lascia la città per cercare Suor Emma, tornata in paese da poco. La speranza è una sola ma enorme: ricostruire insieme la verità. In paese Aila incontra anche altre storie, esce dalla sua dimensione personale, in cui appariva schiacciata, per aprirsi e entrare a contatto con gli altri: c'è la sofferenza di Fulvio, il barista, per la recente morte di suo fratello Gilberto in un grave incidente stradale; a differenza di suo figlio Giacomo, Fulvio non riesce ad andare al cimitero e ha portato invece in casa sua tanti oggetti di Gilberto, quasi a ricreare un altarino domestico. Le vicende familiari della famiglia di Fulvio sono colte parallelamente alla vicenda di Aila, che, oltre a indagare con Suor Emma, racconta il suo passato al lettore, a cominciare dal suo amore per Giulia.
Qui e là appaiono flash della vita della madre di Aila in carcere, in Lager e dopo il rilascio, e forse sono proprio questi ultimi ricordi a destare maggiore attenzione: spesso parliamo del dramma della vita degli internati, ma non delle difficoltà che incorrono i sopravvissuti, o meglio "i salvati", per dirla con Primo Levi. In questo romanzo, invece, leggiamo di come Elda non sappia in che modo reintegrarsi nella società, come tornare a essere utile, pur provando un enorme desiderio di reinserirsi nel mondo.
Un giorno, dal panettiere, Elda aveva sentito un signore distinto parlare del sanatorio che dirigeva e della scandalosa scarsità di personale a fronte di tanti malati. Prontamente si era fatta avanti e così, con la schiena ancora devastata dai foruncoli, si era ritrovata a occuparsi di ex deportati apparentemente meno fortunati di lei. Cos'era stato dedicarsi alle piaghe e alle ferite altrui mentre la sua in silenzio ruggiva e, incurabile, sanguinava? Aila non lo sapeva. Poteva, nella cura, aver trovato una forma di conforto? (p. 198)
Come si vede, ci sono i fatti, ma a questi seguono le domande di una figlia che non sa come spiegare le scelte e il vissuto della madre. Questa fame di conoscenza verrà effettivamente soddisfatta nel corso del romanzo, ma il destino ha in serbo altre sorprese per Aila, alcune buone e altre difficili: non tutti i segreti sono facili da accettare. Il focus dell'autrice sembra comunque rivolto al passato, dal momento che le pagine dedicate alla storia di Elda sono le più intense e le più stilisticamente interessanti; ciononostante, tutto il romanzo, che ricordiamo essere un esordio, ha il merito indiscutibile di legare passato e presente in modo originale, sentito e d'impatto.
GMGhioni
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