Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram
di Riccardo Falcinelli
Einaudi, ottobre 2020
pp. 528
€ 24,00 (cartaceo)
Del resto ogni cultura si dota degli strumenti di cui sente il bisogno per dare forma alla propria visione del mondo. (p. 24)
Ne abbiamo vista una all'inizio di questo pezzo; ne vedremo un'altra alla fine.
Immagini.
Siamo talmente tanto assuefatti da non notarle più. Costantemente esposti e figure, foto, composizioni che arrivano da ogni superficie e ogni schermo a nostra disposizione, non ci prendiamo più il tempo di guardarle con attenzione, di dedicare loro il giusto riconoscimento. Uno scroll e sono andate, sostituite da altre.
Forse però, oltre al ritmo sempre più veloce e alla nostra soglia di attenzione che negli ultimi anni si è statisticamente abbassata, il nostro problema è che non sappiamo cosa e come dovremmo guardare un'immagine. Non siamo sempre in grado di coglierne il funzionamento, di capire cosa rende il prodotto piacevole o meno da guardare. Il saggio divulgativo di Riccardo Falcinelli Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram è un percorso pensato proprio per questo. Non per districarci nella simbologia, non per comprendere cosa "aveva voluto dire il pittore/fotografo" (come a volte succede nell'approccio dello studio della storia dell'arte a scuola), ma per analizzare, meccanismo per meccanismo, come un'immagine viene costruita e perché viene costruita così.
Il saggio si compone di sette macroaree: spazio, forme, percezione, meccanismi, topologia, composizione, medium. Ciascuna composta di sottocapitoli e con un apparato iconografico di oltre cinquecento immagini e una bibliografia di riferimento di centinaia di volumi. Con un simile bacino il testo, che resta molto divulgativo nello stile, è percorso da diverse possibili strade di lettura delle immagini. Si può scegliere di leggerlo come un manuale di storia dell'arte e recuperare le evoluzioni stilistiche date dall'uso dello spazio, dal supporto di rappresentazione e dal mezzo utilizzato. Lo si può prendere come una miniera di piccole curiosità sugli strumenti usati per la costruzione di un'immagine e sugli espedienti usati sia nella pittura che al cinema. Così come lo si può sfogliare per la storia delle strumentazioni.
Molte altre sono le possibili chiavi di lettura, ma una delle più trasversali è quella storica: non intesa in senso di cronologia dell'arte, ma di come ogni singolo tassello di arte prodotta – dalle pitture rupestri delle grotte di Lascaux fino all'ultima pubblicità di Dolce&Gabbana – faccia parte di un unico grande quadro, di un ritorno e di un riutilizzo sempre nuovo di modalità di composizione.
Prendiamo l'esempio della prospettiva centrale. Tipica del Rinascimento e teorizzata da Leon Battista Alberti, per quanto ora ci possa sembrare scontata, prevede un fulcro da cui parte l'immagine creando così l'idea della profondità e avvicinandosi alla visione ottica normale. È grazie a questo modo di vedere che si è sviluppata la camera oscura e da lì la macchina fotografica che permette di scegliere un centro e racchiudere quella porzione di realtà da noi prescelta. È grazie alla teorizzazione dell'Alberti che abbiamo un film come Shining, tutto girato con una prospettiva centrale. E, per arrivare a un gesto che facciamo quotidianamente e più volte al giorno
Perciò, anche se non ci viene in mente quando scattiamo con il cellulare, con quel gesto stiamo chiudendo la realtà dentro una cornice usando un'idea che è tipicamente quattrocentesca. (pp. 28-29)
Dal Quattrocento ad oggi la fruizione delle immagini è cambiata. Forse non ci facciamo più caso, ma non ci è sempre possibile osservare un'immagine posizionandoci in maniera perfettamente frontale. Questo perché le immagini pubblicitarie, i fotogrammi dei film e la grafica in generale si sviluppano attorno a un fulcro e non a un centro. Il fulcro è il perno intorno a cui ruota tutta la composizione e non è necessario vederlo in maniera frontale per capirlo. Quando osserviamo l'immagine di una pubblicità mentre siamo sull'autobus la comprendiamo da ogni punto di osservazione perché con giochi di luce, masse e indicatori il nostro occhio viene spinto verso il fulcro e riesce a comprendere quello che vede. Genialità dei grafici odierni? Senza dubbio, ma questo punto di arrivo del layout viene da un artista ottocentesco, Gustave Dorè – il famoso illustratore della Divina Commedia – che per primo ha usato questa tecnica. Di fronte a un fotogramma di Quentin Taratino, dobbiamo ringraziare Dorè per aver fatto da base.
Proseguendo sulla direzione del fulcro, troviamo le diagonali. I tagli di luce e ombra che vediamo nei film noir o nei thriller sono riconoscibilissime, un elemento che caratterizza il genere e rende l'inquietudine e la drammaticità. Da dove arriva? Dai disegni di Edward Hopper che usava le diagonali per illuminare i muri e raccontare la solitudine e la malinconia. A voler andare più indietro, non si possono non citare i contrasti di luce di Caravaggio che nella Vocazione di san Matteo usa una lama di luce nella parte alta del quadro a simboleggiare il movimento della luce divina verso i mortali. Tale espediente verrà ripreso dal direttore della fotografia di Via col Vento Ernest Haller che per primo usò i tagli di luce e ombra sui volti dei protagonisti. Sembra sempre che tutto sia esistito, ma qualcuno ha iniziato queste tradizioni e, come commenta Falcinelli,
A Hollywood non si inventa mai dal nulla. (p. 303)
Molti altri sono gli esempi di questo genere che ci mostrano come l'arte sia, sì, sempre in movimento, ma in continuo richiamo e rimando alle epoche precedenti, in corsa verso un obiettivo che è sempre lo stesso e che, pur con i cambi di strumentazione, sta continuando ancora oggi.
Giornali, libri, cataloghi e riviste partecipano all'edificazione di questo "museo immaginario" che è uno degli aspetti più fecondi dell'estetica contemporanea: un luogo mentale, ma pure una prospettiva inedita per lo sguardo e per la storia, che consente di ritrovare – nella produzione artistica di ogni tempo e luogo – l'attitudine umana a costruire visioni del mondo. (p. 471)
Giulia Pretta