Later
di Stephen King
Sperling & Kupfer, 2021
Traduzione di Luca Briasco
pp. 304
€ 18,50 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)
Non sono un amante degli e-book. Preferisco il libro cartaceo per il suo profumo, la sensazione tattile e tutte quelle altre ragioni che in realtà altro non sono che triti luoghi comuni, ma tant’è. Riconosco comunque che un aspetto a favore del formato elettronico è la comodità: per un attimo mi sono pentito di aver acquistato la versione cartacea di quest’ultimo lavoro del Re (di nome e di fatto) perché se avessi avuto sottomano l’e-book avrei potuto contare in un attimo quante volte la parola “dopo” compare lungo le pagine del romanzo. È lo stesso io narrante a riconoscerne la centralità, nelle due pagine di prologo alla storia. Talmente centrale da meritarsi di diventare nientemeno che il titolo del libro.
Una narrazione a posteriori, come peraltro di consueto, ma in questo caso c’è di più; in ogni momento della storia il “dopo” è visto come un punto di vista a ritroso rispetto al “prima”; in altre parole, ogni fatto, ogni situazione viene messa a confronto nel momento in cui accade e in seguito alla rielaborazione e al suo incasellamento in categorie logiche (il “dopo”, appunto), per quanto di logico possa esserci nella vicenda di un bambino che parla con le persone morte.
E sì, perché il piccolo Jamie Conklin ha questo talento del tutto particolare. Riesce a vedere chi è appena morto e addirittura riesce a farci delle lunghe chiacchierate, sapendo che per una non meglio precisata norma il caro estinto è obbligato a dire la verità.
Una narrazione a posteriori, come peraltro di consueto, ma in questo caso c’è di più; in ogni momento della storia il “dopo” è visto come un punto di vista a ritroso rispetto al “prima”; in altre parole, ogni fatto, ogni situazione viene messa a confronto nel momento in cui accade e in seguito alla rielaborazione e al suo incasellamento in categorie logiche (il “dopo”, appunto), per quanto di logico possa esserci nella vicenda di un bambino che parla con le persone morte.
E sì, perché il piccolo Jamie Conklin ha questo talento del tutto particolare. Riesce a vedere chi è appena morto e addirittura riesce a farci delle lunghe chiacchierate, sapendo che per una non meglio precisata norma il caro estinto è obbligato a dire la verità.
Devono dire la verità, quando sono morti. Non lo sapevo ancora, all’età di sei anni; pensavo semplicemente che gli adulti non mentissero mai, vivi o morti che fossero. Ovviamente, a quei tempi credevo anche che Riccioli d’Oro fosse una bambina vera. Chiamatemi pure stupido, se volete. Almeno, comunque, non credevo che i tre orsi parlassero.Una storia narrata da un Jamie Conklin ormai ventiduenne ma con i toni e le modalità espressive e comportamentali di un bambino di sei anni (adesso che ci penso, anch’io ogni tanto mi esprimo così, forse devo preoccuparmi ma è un’altra faccenda, boh), che si affinano e maturano insieme al maturare dello stesso Jamie, perché la storia lo accompagna fino ai quindici anni. E questa è una delle superbe abilità di King, il parlare per bocca dei suoi personaggi modulando perfettamente toni, lessico e reazioni in modo perfettamente allineato con l’età e la personalità di ognuno di essi.
Tornando alla particolare abilità del protagonista, capirete come questa non sia proprio una fortuna, e potete immaginare come invece sarà causa di una serie di disavventure che Jamie dovrà affrontare: è vero che attraverso una delle sue "sessioni" risolverà i gravi disagi economici familiari, ma sarà poi trascinato in una vicenda che lo segnerà profondamente.
È lo stesso Jamie a metterci in guardia: “questa è una storia dell’orrore”, precisa in più occasioni. Non potrebbe essere altrimenti nel caso di Stephen King, che però è un maestro impareggiabile nel calibrare la quantità di orrore all’interno dei vari momenti della storia, senza ridurla a una macelleria fine a se stessa. In questo romanzo (ma forse è più un racconto lungo) c’è molto di più, dal processo di crescita del protagonista al rapporto bene/male, giusto/sbagliato; dalla rappresentazione di un sistema sociale all’ironia sul mondo letterario/editoriale.
E poi il colpo di scena assoluto, che arriva come una sberla, verso la fine del romanzo, alla fine del capitolo 68: evviva i libri cartacei, perché la battuta “chiave” schizza fuori al momento preciso del voltare pagina. Non so se sia stata una scelta o un caso ma l’effetto è davvero dirompente.
E ancora, la copertina: si discosta un po' tanto dalla storia (leggendo capirete perché) ma è assolutamente una meraviglia, roba da locandine cinematografiche degli anni Settanta. Non dico di aver comprato il libro per la copertina ma la realtà non è molto lontana.
Non basta? Oh insomma, è Stephen King, nessun altro come lui riesce ad agganciare il lettore dalla prima all'ultima pagina, non c’è il minimo calo di tensione o di intensità in tutto il libro e la capacità narrativa cui ci ha abituati non è venuta meno. L'ho già detto, è forse un racconto lungo e non un romanzo, di sicuro non siamo ai livelli di Shining, di 22/11/’63 o di Stagioni Diverse, ma vale davvero la pena di immergersi in questa storia appassionante e imprevedibile.
Perché lui è il Re. E viva il Re.
Stefano Crivelli
Perché lui è il Re. E viva il Re.
Stefano Crivelli