La dissolvenza della memoria
di Lauro Zanchi
di Lauro Zanchi
IoScrittore, 2020
pp. 192
€ 15,00 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook)
Appello agli editori... questo è un romanzo potente. E come tale potrebbe ambire anche a un'edizione di più ampio respiro. Mi spiego meglio... "La dissolvenza della memoria" è stato finalista 2020 al torneo letterario IoScrittore, ottimo trampolino di lancio per chi fa della scrittura la propria vocazione, ed è stato pubblicato sotto questo marchio editoriale. Ma ha tutte le carte in regola per conquistarsi una nuova edizione, come è successo qualche mese fa al romanzo "Io non ti lascio solo" di Gianluca Antoni (qui la nostra recensione), che, dopo aver vinto lo stesso torneo nel 2018, quest'anno è stato ripubblicato da Salani (qui l'intervista allo scrittore realizzata nell'occasione). O ancora a "Fiori sopra l'inferno" di Ilaria Tuti (IoScrittore 2016, qui la nostra recensione), che ha trovato nuova veste da Longanesi, solo per citarne alcuni. Una nuova pubblicazione per questo romanzo del docente cremasco Lauro Zanchi avrebbe il merito di ripulirlo dai troppi errori di stampa e/o battitura che infastidiscono un poco la lettura. Detto questo, e faccio i migliori auguri all'autore perché ciò avvenga, vi racconto perché questo romanzo mi è piaciuto davvero tanto.
"La dissolvenza della memoria" è la storia di una scoperta e della conseguente perdita dell'identità con la quale il maestro elementare Vittorio Verbini, ha attraversato la sua vita fino al momento in cui lo incontriamo. Un'esistenza normale, fatta da un lavoro che ama, un matrimonio felice, due figli, gli anziani genitori ancora in vita, qualche amico importante di vecchia data, la passione per la bicicletta, i ricordi dell'adolescenza e della giovinezza nella sua cittadina, Crema. Insomma, tutto per Vittorio sembra proseguire sui binari della normalità. Una quotidianità bella, serena, degna di essere vissuta.
Ma a un certo punto tutto cambia. Avete presente la storia del delitto della povera Yara Gambirasio, qualche anno fa? A parte la tragedia dell'uccisione della povera ragazzina, la storia ha poi avuto lunghi echi di cronaca in quanto il presunto assassino fu scoperto grazie all'analisi del Dna che però combaciava con quello di un signore morto anni prima che, tra parentesi, non era suo padre. Una rivelazione choc per il presunto assassino e per il padre legittimo, che apprese così d'un tratto di essere stato tradito dalla moglie tanti anni prima e di avere cresciuto un figlio non suo (anzi, due perché erano nati due gemelli). Almeno, questo ci hanno raccontato giornali e telegiornali dell'epoca.
Una cosa simile capita anche al nostro maestro elementare cremasco che, sottoponendosi ad alcuni esami in seguito a certi disturbi, scopre di avere la talassemia, una malattia ereditaria che né il padre né la madre hanno. Come può essere successo? Cosa è accaduto nella vita di Vittorio? Chi è lui veramente? Non è quindi il figlio dell'avvocato Tarcisio e della signora Feliciana? E dove è nato? A Crema, la cittadina che ha sempre considerato sua patria, dove sono nati i primi amori, dove ha frequentato le scuole, dove c'è quel canale nel quale faceva a gara di tuffi con i suoi amici? E se no, dove? E tutto questo, la sua storia, allora che cosa c'entra con lui? Domande che esplodono nel cuore e nella mente di Vittorio. Il maestro, dopo un colloquio assai difficile, ottiene una ritrosa conferma da parte dei suoi genitori, i quali poi si chiudono a riccio, e, come hanno sempre fatto, non svelano di più. Per proteggerlo,
Torniamo così alle prime pagine del libro che si aprono con una mamma che porta a letto il suo piccolo di 4 anni e, con una carezza, gli dice: "Dormi tato, poi passo a spegnerti la luce" (p. 10). È la sera del 9 ottobre 1963, siamo a Longarone, il bimbo è già nel mondo dei sogni, insieme ai folletti, che la mamma gli descrive sempre prima della nanna, ma alle 22.39 un boato squarcia la gola delle montagne, un rombo di potenza mai sentita si abbatte come una bomba sulla stretta valle ai piedi dell'immensa diga del Vajont la cui costruzione era iniziata soltanto pochi anni prima tra mille polemiche (il monte, da cui si staccò quel pezzo che, cadendo nell'invaso, determinò l'inondazione, si chiamava Toc, "pezzo" in dialetto veneto, perché da tempo era nota la sua instabilità). Improvvisamente il bimbo si ritrova a cielo aperto, ha freddo, sente un dolore fortissimo a un braccio che non riesce più a tirare a sé, ha la bocca piena di polvere, chiama la mamma, ma la mamma non risponde e non torna più a rimboccargli le coperte. Finché una luce si fa strada verso di lui e un eroe, rimuovendo le macerie, lo prende in braccio e lo riporta alla vita.
Ma di tutto questo il bimbo non ricorda più nulla, la sua memoria si è rifiutata di conservarne traccia. Il primo ricordo lo vede a scuola, con la maestra Lucia, che gli chiede se conosce le vocali e il bimbo risponde che sì, le sa scrivere. Dove le ha imparate? Vittorio non ha mai dato peso a questo episodio che ora, alla luce della verità, torna a galla prepotente. Dove le ha imparate quelle vocali?
Il resto del romanzo è il tentativo, da parte del maestro Vittorio Verbini di far combaciare questi due pezzi di vita, il dopo le vocali, che è tutta la sua vita nota, quella che credeva fosse l'unica, e il prima delle vocali, un buco nero, un vortice, un incastro che sembra impossibile. Non sarà facile rimettere assieme i pezzi del puzzle, cercare la verità o ciò che le rassomiglia, sono passati più di cinquant'anni e dei bambini rimasti soli, gli orfani del Vajont, nessuno sembra sapere più nulla... sono spariti, come le tante vittime dell'onda maledetta.
Vittorio si infila in una spirale che gli potrà fare male, lo sa, torna in quei luoghi, fa ricerche, interroga persone. In più ci sono i sintomi di quella malattia, di cui lui ignorava l'esistenza fino a qualche settimana prima. Il libro diventa così una ricerca sofferta e dolorosa delle proprie radici, uno sforzo immane per ricordare un volto, una voce. E per fare questo lo scrittore si addentra nei meandri delle profondità umane, laddove ci sono i sentimenti più atavici, scava nel profondo, toccando le corde più sensibili: la paura, l'infanzia, l'identità. Soprattutto l'identità, il proprio io: è dura a cinquant'anni passati scoprire di essere tutt'altra persona da quella che si è sempre vista allo specchio al mattino, appena sveglio. Il maestro Verbini si ritrova nudo, come se fosse rinato un'altra volta. E nudo sente il bisogno di tuffarsi in quel canale che l'ha visto adolescente, fiero, felice, ignaro.
Ma i genitori perché hanno taciuto tutta la vita? Per proteggerlo? A che pro, se poi la vita chiede il conto? Ecco, a mio parere, la figura dei genitori che si rivelano adottivi è sfuggente, tratteggiata soltanto nel momento cruciale della scoperta della verità, poco soddisfacente, in sintesi... da lettrice avrei preferito che l'autore avesse maggiormente sviluppato il rapporto con il padre e la madre che, dalle pagine, sembrano poco presenti nell'infanzia del protagonista. O poco ricordati. Conosciamo troppo poco del rapporto che ha legato l'uomo ai suoi genitori, al di là del risentimento attuale per il silenzio. È stato un bambino felice? Si è sentito amato? Forse il libro avrebbe avuto uno spessore ancora maggiore se il protagonista si fosse confrontato con questo amore. Pur riconoscendo che è stato un gesto di grandissimo amore quello di averlo scelto.
Comunque sia, "La dissolvenza della memoria" è un romanzo densissimo, pieno di domande a cui è difficile, quasi impossibile, dare una risposta, se non calandosi nel profondo del proprio Io. Ha il merito inoltre di riportare all'attualità quella strage, la diga del Vajont, che tante vite ha portato con sé, in un modo originale, certo senza la potenza dell'orazione civile alla Marco Paolini, ma con la freschezza e l'intuizione creativa che si addicono a un romanzo. L'autore si avvale inoltre di un linguaggio accurato (peccato gli errori, come ho già avuto modo di sottolineare), capace di cambiare registro laddove parla ai ricordi o dialoga con i personaggi del presente.
Una storia bella, che, non lo nego, mi ha strappato qualche lacrima e che sono felice di aver aggiunto al bagaglio di letture con cui proseguo il percorso della mia vita.
Sabrina Miglio