Carnet erotici. Pablo Picasso
testi di Norbert Wolf
traduzione di Alessandra Iadiccio
L’ippocampo, 2009
pp. 64
€14,00 (cartaceo)
La tematica erotico-amorosa, con il suo campionario di topos e cliché, rappresenta da sempre una delle principali fonti di ispirazione artistiche. Che si tratti di una rielaborazione in chiave mitologica, di una ritrattistica più o meno anonima in desabillè o della rappresentazione esplicitamente pornografica di un’attività o di un’intenzione sessuale, la tentazione del sentimento incarnato ha messo alla prova generazioni di artigiani della parola e dell’immagine. E tra questi, vale a dire tra narratori/poeti e scultori/pittori, sono forse gli ultimi a intrigare maggiormente lo spettatore in simili frangenti, non fosse altro che la resa visiva su un supporto bidimensionale o tridimensionale ha sempre dalla sua quell’immediatezza di impatto che in letteratura subordina necessariamente il climax al tempo di fruizione della pagina. Nel caso dei nomi più importanti, poi, subentra una curiosità ulteriore, specifica, autoriale non meno che maliziosa, che stuzzica il pubblico nella misura in cui si voglia conoscere non tanto il cosa ma il come l’artista abbia interpretato le croci e le delizie più antiche del mondo; e questo non solo nelle opere più note e compiute, ma anche – anzi forse ancora meglio – in quelle ferme (fermate) allo stadio convenzionalmente inferiore di schizzo, disegno e bozzetto. A questa consapevolezza dava forma, qualche anno fa, la pubblicazione in versione italiana di una piccola collana denominata Carnet Erotici, con cui la casa editrice L’ippocampo dava alle stampe, sempre accompagnata da un testo critico di Norbert Wolf, una selezione di piccoli florilegi in formato taccuino di artisti quali Klimt, Schiele, Dalì, Modigliani e Picasso.
Se l’intenzione del progetto era quella di rendere le varie attitudini nei confronti di un tema frequentatissimo, non c’è dubbio che anche il blocchetto dedicato all’artista spagnolo – l’unico al momento ancora in catalogo – restituisca in pieno tutta la specifica vis che fu dell’uomo non meno che del pittore. Nella cernita di trentuno lavori appartenenti a collezioni private come a musei, e datati dal 1901 al 1972, l’approccio picassiano alla materia si esplicita (il 99% delle volte) nelle tecniche e nei materiali tipici della prova veloce (inchiostro di china, penna, matita, carboncino, pastello, acquerello e tempera su carta) per rappresentare l’intimità di amplessi reali e immaginari, sentimentali o mercenari, così come la dimensione pura/impura del nudo posato in studio e l’alterità parallela del mito (si vedano gli esempi della Donna violata dal Minotauro del 1933 e di Dora e il Minotauro del 1936). Tuttavia, proprio il commento di Norbert Wolf, collocato in coda al volume, aiuta a non fermarsi alla mera casistica di queste occorrenze, peraltro intenzionalmente assai limitate rispetto a un corpus di ben altre dimensioni. Difatti, per quanto sintetico, il contributo dello studioso invita chi legge a considerare le immagini oltre il loro contenuto meramente denotativo – un amplesso tra due donne, un rapporto orale, uno stupro archetipico, una scena di bordello e così via – ma a ricordare come «proprio nell’ossessiva sperimentazione delle cifre erotiche, oggi, a molti studiosi il genio creativo di Picasso sembra manifestare da un’intimità più profonda la sua maggiore autenticità» (p. 53). Non un tema tra gli altri, insomma, ma, secondo questa impostazione, quello rivelatore per eccellenza di un’attitudine e di uno stare al mondo inteso nel suo complesso.
Se dunque è vero che la più originale forza propulsiva dell’arte picassiana è stata identificata «nell’osmosi tra sessualità e creatività» (p. 54), e se è vero che il pittore mise in scena sia la sua vita che la sua opera «come un’infaticabile ricerca della donna» (p. 54), ecco che gli elementi di valutazione biografica e artistica possono opportunamente fare il paio per aiutare a comprendere il senso di lavori che (per quanto slegati all’origine e adesso raccolti in una cernita arbitraria) non sono e non possono offrirsi allo sguardo come semplice repertorio. Ecco perché, nel ricordare la scaltrezza virile dell’artista che nel 1940 impiegò non a caso «la metafora della “erezione dell’occhio”» (p. 55), Wolf non nasconde il fatto che le indagini critiche condotte sul maestro abbiano talvolta voluto tenere conto, in termini di causa/effetto, del suo progressivo decadimento corporale:
«gli interpreti tornarono a spiare con sospetto tra i fatti della biografia del maestro. Il genio fisicamente senescente compensava – tale era l’opinione generale – le proprie ansie di impotenza con una sempre più intensa messa a fuoco del motivo sessuale nell’arte. Ecco perché il suo accostamento al nudo femminile tendeva sempre più a prendere tratti voyeuristici, ed ecco perché l’artista escogitava fameliche strategie del piacere, le quali dovevano senz’altro mettere in conto anche l’eventualità di un fallimento» (p. 55).Tuttavia, nell’individuare le ragioni dell’eccellenza picassiana all’interno dell’arte erotica, l’opinione di Wolf si fa più assoluta, spostando l’attenzione dagli esclusivi pretesti biografici, per quanto possibili e plausibili:
«in linea di principio egli agisce sempre come “un classico”, dal momento che per lui le figure sono per lo più figure umane, rappresentazioni “antropologiche”, improntate a temi “sovratemporali” come la morte, il sesso, lo spazio fisico e il tempo (…) Il confronto con la “materia grezza” del sesso dell’essere umano, esteso per lui dal più tenero atto d’amore fino all’urto (quasi) pornografico della raffigurazione assoluta di seni e vulve, “culi” e falli, trova appunto in una siffatta antropologia artistica il luogo ideale che più gli si addice. (…) L’amore dell’artista per la propria opera, la rivalità tra la donna e l’arte, la schietta impudenza nella posa di nudi, il pittore come demiurgo che vuole infondere alle figure ritratte sulla tela un alito di vita e crea così astratti guazzabugli di linee non più comprensibili, rientrano tra le esemplari strategie d’azione che condussero Picasso ai maggiori trionfi della sua arte pittorica ed erotica» (pp. 57-58).L’unico appunto che si può fare a questo sfizioso contributo pubblicato da L’ippocampo è forse quello di essere (come già accennato) l’unico attualmente in stampa all’interno della relativa collana dei Carnet Erotici; al momento, difatti, chi volesse completare la serie potrebbe giusto affidarsi alla fortuna di scovare qualche copia superstite tra gli scaffali della propria libreria di fiducia o tra le spesso più sorprendenti bancarelle dell’usato (ma sempre che qualcuno abbia osato disfarsi di simili chicche). Nella speranza che l’editore ponga in essere una nuova tiratura, l’esemplare picassiano resta comunque un ottimo trastullo consolatorio, tanto più durevolmente apprezzabile quanto più sintetica è la sua impostazione, in cui la misura discreta delle parole di Norbert Wolf cede la quasi totalità della scena alle riproduzioni, denudate finanche dell’orpello altrimenti ingombrante delle rispettive didascalie (le si trova in coda al volume). La consueta cura dell’oggetto editoriale fa il resto, con la bella rilegatura telata della costola in un colore più che mai a tema, il robusto cartoncino di copertina e controcopertina che rimanda al formato degli album da disegno e lo spessore esiguo tipico dei blocchetti fatti per appuntare idee, schizzi e bozzetti, o come in questo caso le incarnazioni grafiche di un’ossessione che fu tanto artistica quanto esistenziale.
Cecilia Mariani
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