Aldilà
di Andrea Morstabilini
Il Saggiatore, settembre 2020
pp. 302
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Andrea Morstabilini è un autore tutto sommato abbastanza giovane. Aldilà (pubblicato da Il Saggiatore nel 2020) è infatti soltanto il suo secondo romanzo (a precederlo Il demone meridiano, edito sempre da Il Saggiatore nel 2016). In ogni caso, due libri sono già sufficienti a tracciare le linee e le tendenze che animano la sua idea di narrativa, nonché a rendere manifeste le sue potenzialità di scrittore. Se il Demone era un romanzo sofisticato, che parlava di letteratura attraverso la letteratura, intessendo un dialogo con i grandi maestri del passato; Aldilà è un romanzo maturo, in cui il percorso avviato quattro anni prima viene portato a compimento.
Il romanzo è narrato in prima persona e il suo protagonista è uno scrittore in erba rifugiatosi per qualche mese in una villa solitaria che sovrasta la pianura lombarda, nell’intento di trovare la giusta ispirazione per scrivere un romanzo horror. E basterebbe questo per mettere subito in allarme il lettore attento e scafato: i libri di scrittori che scrivono di scrittori che scrivono, possono sempre riservare pungenti sorprese – oppure risolversi in guazzabugli confusionari. Per fortuna Andrea Morstabilini è stato un acuto lettore molto prima di diventare un ottimo narratore e sa come tenere insieme i pezzi del suo puzzle. Anche per mezzo di una prosa ferma ed estremamente elegante.
Ma facciamo un passo indietro, e torniamo al protagonista che prende in affitto una sontuosa magione ottocentesca chiamata Villa Malnati. Non appena giunto nella sua nuova dimora stagionale, questi si rende subito conto che il posto ha qualcosa di strano: tutto trasuda inquietudine e sembra nascondere misteri inconfessabili, dal custode intento a scavare e riscavare due fosse perfettamente simmetriche, alla strana stanza in soffitta che sembra avvolta da forze oscure. Per il protagonista – che molto ha di autobiografico – iniziano una serie di strani incontri, di esperienze innaturali, di visioni agghiaccianti. Arriverà al punto di credere che la casa sia infestata da un fantasma – pensiero questo che susciterà in lui una fortissima risata. Sembra quasi che i maestri dell’orrore, i cui libri aveva portato con sé come fonte di ispirazione, si fossero messi d’accordo per tessergli le loro insidie e tranelli. E tesserle di conseguenza anche a noi lettori, che rabbrividiamo ad ogni suono, sobbalziamo ad ogni ombra tremolante, ci agitiamo per ogni vuoto nel terreno, per ogni fruscio tra le fronde.
Il romanzo di Morstabilini sembra costantemente sul punto di strappare il velo di apparente tranquillità che circonda luoghi e personaggi, per far dilagare l’abnorme, il perturbante, l’ultraterreno. Per strapparci alla piattezza del quotidiano e proiettarci nel cono d’ombra di cui sono fatte le nostre paure più recondite. Eppure l’innesco continua ad incepparsi (così come ogni velleità scrittoria del protagonista finisce per essere abortita): ogni squillo dell’anormale è immediatamente neutralizzato dalla sfera razionale, ogni rumore o apparizione viene presto associata a fonti perfettamente normali. Il punto apicale di questo meccanismo narrativo funge in un certo senso da mise en abyme dell’intero racconto e si ha quando il direttore del centro di psicolalia – attuale proprietario della villa – invita il protagonista a partecipare a una delle loro abituali sedute. Il direttore userà i suoi poteri di medium per mettersi in contatto con le anime dell’aldilà, compresa quella di un conte che, secondo i sospetti dei partecipanti, è entrato nell’oltretomba da vivo per fare mai più ritorno. L’episodio però si trasforma presto nell'ennesima occasione per avanzare considerazioni filosofiche e metafisiche sulla vita e la morte.
In particolare il dibattito tra il direttore e il custode, intervenuto nella funzione di controparte scettica fa da chiave all’intero volume. Spingendosi fino ai confini della metaletteratura, esso richiama il dialogo che Morstabilini imbastisce con i suoi lettori. Quello che chiama in causa i romanzi che stanno dentro ogni romanzo, tutto il pensiero letterario che regge la letteratura stessa – horror e gotica, ma non solo. E allo stesso modo che rivela tutto il non detto che si cela dentro ogni frase, tutta la luce che si scioglie dentro ogni ombra, tutto il frastuono che ogni nostro silenzio sommerge.
Alla fine ci renderemo conto che il vero fantasma di Aldilà è quello che si agita dentro ognuno di noi, dentro la nostra infanzia e le nostre geografie e morfologie individuali. Per questo la pianura lodigiana, in cui l’autore è cresciuto e che fa da sfondo al racconto, sembra la metafora perfetta attraverso cui rappresentare i passaggi più reconditi e le meraviglie inconfessabili del nostro subconscio. Questo i grandi maestri del genere – i Lovecraft, Allan Poe, Machen – lo hanno sempre saputo: nulla ci inquieta di più che guardare dentro il pozzo infinito di noi stessi. E Andrea Morstabilini che dalla loro narrativa tutto ciò lo ha imparato presto, ce lo ricorda regalandoci un bellissimo romanzo.