L'altro inconoscibile: «La bella indifferenza» di Athos Zontini


La bella indifferenza
di Athos Zontini
Bompiani, 2021 

pp. 256
€ 17,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Quei vestiti sobri, senza tempo, tradivano tutto il distacco che non esprimeva a parole, la sua disaffezione dagli altri, forse perfino da se stesso. L’abbigliamento era una piccola falla nell’esistenza delle persone: prima o poi lasciava intravedere sempre qualcosa di vero, molto più di quanto facessero gli occhi, i volti, allenati da troppi anni a mentire.

Athos Zontini ci aveva già abituato con Orfanzia (Bompiani 2016) a trame peculiari, con una traccia di surreale in grado di spaesare il lettore attraverso la percezione di una falla nella realtà senza mai spiegare in cosa quella falla precisamente consista. Se in Orfanzia la falla risiede nelle convinzioni del giovane protagonista, convinto di venir divorato dai genitori non appena deciderà di riprendere a mangiare, La bella indifferenza segna un passo avanti in quanto non è la realtà percepita a essere assurda, bensì la percezione stessa.

Il deficit di Ettore Corbo ricorda per certi versi la prosopagnosia, nella quale il soggetto non riesce a riconoscere i volti delle persone, o meglio ad associare i volti alle persone conosciute. Nel romanzo di Zontini, però, al posto dei volti vi sono ovali di manichini e gusci di uova: a essere compromessa non è solo la capacità di associare le facce ai volti delle persone familiari e amate, bensì la possibilità di riconoscere le espressioni facciali, di sapere come stiano reagendo le persone agli eventi. Il volto è una tabula rasa. Scomparso questo primissimo e naturale approccio all’altro, il protagonista si ritrova a dover affrontare una quotidianità fatta ora più che mai di toni di voce, prossemica, vestiario, interpretazione di intenzioni.

Prepotente emerge il tema dell’indifferenza, intesa sia come lo stato emotivo nel quale Ettore Corbo piomba dopo un primo periodo di sconvolgimento, sia come mancanza di identità e di unità della massa. La massa senza volto, infatti, è un insieme di manichini inespressivi che camminano per la strada senza meta e senza scopo, ognuno identico all'altro quasi persino nel modo di agire e di muoversi. Ma l’indifferenza si manifesta anche nelle risposte di quelli che nella teoria dovrebbero essere degli altri importanti: fino a che il comportamento inevitabilmente sconclusionato di Ettore non rischia di mettere a repentaglio ogni cosa – dal lavoro agli affetti – nessuno sembra interessarsi veramente di ciò che sta capitando a una persona fino a poco prima pacifica e ordinaria, nemmeno la compagna di una vita. Al di là di domandarsi perché questo cambio repentino di atteggiamenti, nessuno si preoccupa di aiutare il povero disgraziato che, chiuso nel proprio solipsismo, conduce un’esistenza sempre più stravagante e isolata, incurante di (e a volte contrario a) qualsivoglia etichetta.

Altro tema importante del romanzo è il rapporto fra vita autentica e vita inautentica, che si manifesta soprattutto nei momenti in cui Ettore Corbo è in grado di rivedere per pochi istanti alcuni volti. Questo elemento è affascinante perché per tutto il romanzo non viene mai esplicitato cosa di fatto conduca a tali momenti di lucidità: non la violenza, non l’amore, né altro di specificato. La ricerca di questa riappropriazione della capacità percettiva è uno dei punti di vetta del libro, in quanto emerge con forza quanto difficile risulti comprendere appieno quanta fatica costa tornare nei binari della normalità.

La bella indifferenza è dunque un testo di agile lettura che nasconde importantissimi temi propri della nostra epoca. La bellezza di questo romanzo sta nel non fornire una risposta univoca (né un finale conclusivo, se è per questo), lasciando al lettore più interrogativi di quanti ne poteva avere prima di iniziare il testo.


David Valentini