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#LectorInFabula - Guardare ai bambini che siamo stati con il Peter Pan di MinaLima

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Peter Pan 
di J.M. Barrie 
L’ippocampo, 2020

Illustrazioni di MinaLima
Traduzione di Millie Dandolo
 
pp. 256
€ 31,11 (cartaceo)
 
 
C’è qualcosa di stupefacente nella differente percezione che si ha quando si rileggono da adulti le storie che ci avevano affascinato e fatto sognare da bambini. Nel riprendere in mano Peter Pan, nella meravigliosa edizione de L’Ippocampo illustrata dall’insuperabile team MinaLima, la prima cosa che colpisce il lettore ormai cresciuto è il testo. Ebbene sì, perché d’improvviso si notano tutti quei dettagli di cui da piccoli non si percepiva l’importanza, o la densità: lo sconcerto di Wendy, che scopre a due anni che è destinata a diventare grande, e quello è “l’inizio della fine”; la tenerezza della signora Darling, con un bacio appeso all’angolo delle labbra, che inizia a disegnare figurine senza volto di bambini sui bilanci di casa, fino a quando non arrivano tre figli tanto voluti, che la sera accudisce rimettendogli in ordine i pensieri e trovando tracce misteriose di quell’impudente di Peter; e poi ancora l’ironia con cui vengono ritratti il cipiglio e il contegno serioso del signor Darling, o la disperazione dei genitori quando, una sera, tornando da un ricevimento, scoprono la sparizione delle loro creature (“erano nostri, nostri, e adesso se ne sono andati!”, p. 84).
Ci vuole poco, ai fratelli Darling, tentati da quel monello senza radici di Peter Pan, per lanciarsi nella nuova avventura dimentichi di tutto: la prima cosa che accade, mentre volteggiano tra i campanili e le nuvole verso il Paese-che-non-c’è, è che perdono il senso del tempo, e con esso il legame con casa loro, e con la realtà consueta, che appaiono già lontani e sfocati alla memoria. L’arrivo all’isola ha il sapore del ricongiungimento, almeno finché non inizia a rivelare i suoi nuclei d’oscurità (“così bruscamente i tre ragazzi terrificati appresero la differenza fra un’isola delle favole, e la stessa isola quando diventa realtà”, 74). Chiunque abbia letto le fiabe senza la mediazione di Walt Disney sa bene, del resto, che in ogni percorso di crescita si annida qualcosa di spaventoso e inquietante.
E che dire poi di Peter? Un’altra di quelle figure amate che, una volta ritrovate a distanza di anni, si guardano in un’ottica completamente nuova (forse perché siamo ormai più vicini alla prospettiva dei Darling che a quella dei loro bambini, e Peter Pan nei nostri sogni non appare più da tanto tempo). Peter è capriccioso, vanesio, impulsivo. È privo di legami, leggero e incostante come l’aria, un piccolo diavoletto tentatore. Tutto per lui è gioco, e per questo non prende sul serio le esigenze e le paure altrui. È l’eterno fanciullino, e questo lo rende egoista. Al contempo, Peter è pura vita, pura energia. È grazie a lui che l’isola si ridesta al giorno, che sono possibili mille avventure. Avventure che lui affronta sempre con la sicurezza di chi non ha niente da perdere, con l’irruenza e la sfrenatezza dell’incoscienza più pura. L’esistenza sull’isola è talmente totalizzante che non esiste più distinzione tra immaginazione e realtà, ed è anzi la vita di prima a sembrare un pallido sogno. Solo Wendy, pur totalmente assorbita dal suo nuovo ruolo (disturbante, per il lettore adulto) di mammina per i bambini perduti, prova inizialmente a mantenere vivo il ricordo del passato e spinge i fratelli, più prossimi all’oblio a ripensare ai genitori che li aspettano a casa e da cui pensano, prima o dopo, di tornare, certi di trovare la loro finestra ancora aperta, sempre aperta.
Via ce ne andiamo, come quelli che nel mondo sono i più senza cuore, cioè i ragazzi, ma pure così attraenti; e viviamo pienamente per un certo tempo secondo il nostro egoismo; e poi, quando sentiamo il bisogno di particolari cure, ritorniamo dignitosamente, fiduciosi di essere abbracciati invece che schiaffeggiati. E davvero così grande era la loro fede nell’amore materno che credettero di potersi permettere di essere insensibili ancora per qualche tempo. (p. 163)
Al contempo anche Wendy viene assorbita dalla vita del Paese-che-non-c’è, che è pieno di cose da scoprire, di pericoli da affrontare, di prove da superare per i giovanissimi abitanti. Solo il momento in cui inizia a dubitare della possibilità del ritorno, dell’attesa fiduciosa della vita di prima, qualcosa in lei si spezza e la spinge verso casa. Ma l’abbandono dell’isola è un passo definitivo, che non permette ripensamenti. E deve passare forse attraverso la suprema avventura, il confronto con il nemico dei nemici, il capitano James Uncino. È interessante notare a posteriori come anche Uncino sia figura complessa, sfaccettata: crudele, ma a sua volta con alcuni tratti che attenuano la sua malvagità (reale? apparente?): gli occhi color pervinca, la sua ossessione per le buone maniere, alcuni pensieri che lo fanno uscire dal suo ruolo, solo per brevi momenti. La sua morte, seppur necessaria, è amara, come è amaro il fatto che gli siano offerte ben poche possibilità di redenzione. E del resto è malinconica, a suo modo, anche la condizione di Peter, che guarda attraverso le finestre altrui felicità che gli sono precluse e poi se ne va, per sempre smemorato, sempre alla ricerca di una madre con cui sostituire quella un tempo perduta, spaventato all’idea di diventare grande.
Si deve notare che, nonostante la lettura del romanzo di J.M. Barrie riservi qualche sorpresa al lettore adulto, ne riserva sicuramente di più, a grandi e piccini, la lettura del romanzo in questa specifica edizione, impreziosita dalle immagini e dagli elementi interattivi a cui l’equipe MinaLima ci ha abituato, ma che continuano a sorprenderci: le cartelle cliniche dei piccoli Darling che si allargano fuoriuscendo dalle pagine, la mappa dell’isola-che-non-c’è, l’orologio del coccodrillo di Uncino che ci pare quasi di sentir ticchettare, l’applausometro delle fate con cui viene salvata la bisbetica Campanellino, la sagoma aerea e lieve della fata con le sue ali celesti... in aggiunta alle grafiche stilizzate, minimali e pertanto più suggestive delle illustrazioni, gli elementi tridimensionali, con cui è possibile interagire, riportano il volume alla dimensione del gioco che sollecita il bambino che è rimasto in ciascuno di noi, e sono pertanto assolutamente in linea con la storia stessa di Peter Pan, con quello che il buffo ragazzino continua a risvegliare in chi lo incontra.

Carolina Pernigo