"Non credere se non a ciò che può diventare nostro palpito e nostro ardore": leggere Piero Gobetti e riscoprire la grandezza del suo spirito



Avanti nella lotta, amore mio!
di Piero Gobetti (a cura di Paolo Di Paolo)
Feltrinelli, 2016

pp. 220
€ 9,50 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Questo io mi sforzo di raggiungere ad ogni momento, e mi ci sforzo torturandomi, perché nella tortura c'è anche la vita. Bisogna non lasciarsi dominare da ciò che è esterno, non credere se non a ciò che può diventare nostro palpito e nostro ardore - nostro perché profondamente umano e solo umano. (p. 39)

C'è un'energia nelle scritture di Piero Gobetti che il lettore avverte subito quando comincia a scoprirle. È fervore intellettuale, certamente, è fede politica, poi, ma è qualcosa di più, di dominante e assoluto. È voracità.
Gobetti era vorace nel pensiero, nell'azione, nella visione del futuro, nell'amore per Ada, era vorace di vita
Era come se da qualche parte dentro di sé sentisse che sarebbe morto a soli venticinque anni e quindi in quel breve arco esistenziale - un periodo che per tanti non è sufficiente neanche a intuire le parti più superficiali di se stessi - lui fondò riviste, fu editore, teorizzò dottrine politiche, militò in prima linea contro il nascente fascismo, scrisse di arte, letteratura, teatro. Studiò costantemente, tormentandosi perché non riusciva a rimanere fermo su un solo tema e sospirando scriveva: "Com'è vasta la cultura che devo conquistare!", nello sforzo di apprendere il vecchio e di costruire il nuovo. 
L'esercizio costante di questa voracità emerge in tutta la sua iconica bellezza in Avanti nella lotta, amore mio!, raccolta degli scritti 1918-1926 a cura di Paolo Di Paolo che di Gobetti ha scritto anche in forma narrativa nel suo Mandami tanta vita. Il volume contiene anche un contributo critico di Pietro Polito.
Qui, nella sua stessa viva voce, il lettore lo riscopre nella spinta ideale e si accosta al suo sistemico programma politico-culturale. Gobetti era un intellettuale militante nel senso più letterale dell'espressione: credeva nell'idea che fare cultura significasse aprirsi a un dialogo con gli strati diversi della società, a partire dal mondo operaio da lui studiato e conosciuto in prima persona. Voleva una cultura che servisse a edificare società migliori per opportunità, dialogo e possibilità di azione collettiva. 
Tra note del diario e scritti autobiografici, bozze di racconti e articoli, interventi critici e dottrine politiche, Gobetti si costruiva un'esperienza di vita e di lotta quasi inimmaginabile per la sua giovane età. Formatosi grazie all'incontro con maestri come Luigi Einaudi, Luigi Farinelli e Gaetano Mosca, esercitò il pensiero progettuale e critico soprattutto alla guida delle riviste da lui fondate La rivoluzione liberale (1922) e Il Baretti (1924) e di un'impresa editoriale che lo vide in soli due anni stampare centinaia di titoli. Nella riflessione sul ruolo dell'editore spese, in particolare, tantissime energie descrivendo così l'editore ideale:
Quattordici ore di lavoro al giorno tra tipografia, cartiera, corrispondenza, libreria e biblioteca (perché l'editore dev'essere fondamentalmente uomo di biblioteca e di tipografia, artista e commerciante) non sono troppe anche per il mio editore ideale [...] Penso un editore come un creatore. Creatore dal nulla se egli è riuscito a dominare il problema fondamentale di qualsiasi industria: il giro degli affari che garantisce la moltiplicazione infinita di una sia pur piccola quantità di circolante. (p. 54)
Interessante come dalla frammentarietà degli scritti, spesso brevissimi e sugli argomenti più disparati, emerga un ritratto a figura intera: lo spessore psicologico dell'uomo Gobetti va in coppia con la complessità del suo profilo pubblico. Paolo Di Paolo nell'introduzione parla anche dell'aspetto più essenzialmente letterario, dello "scrittore sommerso, se non rimosso" che è in lui e che qui invece ci parla, tra i tentativi di creazione e le meditazioni artistiche. 
Nella ricerca di un proprio centro vitale di fronte agli eventi esterni che continuamente lo spostano e tendono a comprometterlo, Gobetti colloca una riflessione sull'io nell'arena sociale. Scrive i momenti di stanchezza, di apatia, di fine e soffocamento e subito dopo si risolleva dicendo "se tu superi questo momento [...] sai vincere ancora, la vita è per te." Eccola, sempre lì, la voracità di fronte a ogni limite. 

Se la prima parte del libro raccoglie gli spunti più autobiografici, in certi punti quasi diaristici, la seconda vede una summa dei suoi pensieri sulla politica e la storia. Qui la sua visione colpisce il lettore per precocità e profondità. Spettatore coinvolto degli eventi di quegli anni tragici e cruciali (1919-1924), Gobetti commenta le "disavventure della vita pubblica italiana" con sincerità, chiarezza, forza progettuale. Deciso a coniugare sempre teoria e azione, traccia le sue idee di partito, di partecipazione e di lotta in un modo che è distante anni luce dalla pratica politica a cui assistiamo oggi:
...il valore di un partito sta nelle sue formule [...] Formula è conclusione, è punto di arrivo, elaborazione che presuppone tutto un processo spirituale, tutta una serie di sforzi nei quali anche sta la sua giustificazione e la sua importanza. (pp. 59-60)

E da quale animo sono poi percorse le pagine che parlano di lotta di classe! Ci sembra quasi di vederlo in mezzo agli operai della FIAT mentre scrive della nascita del moderno proletariato, dei suoi sacrifici e delle sue battaglie, mentre ravvisa l'eccezionalità della rivoluzione che la classe operaia sta attuando e la contrappone alla fiacchezza e alla mediocrità delle classi medie intellettuali. 
Commoventi, poi, le pagine sul fascismo (sua la celeberrima formula dell'"autobiografia della nazione"). Gobetti parlava della tirannide con parole aspre già nel 1922, mentre da più parti emerge l'anima illuminista del gruppo di Rivoluzione Liberale. :

"La "rivoluzione" fascista non è una rivoluzione, ma il colpo di Stato compiuto da un'oligarchia mediante l'umiliazione di ogni serietà e coscienza politica - con allegria studentesca. (p. 82)

e proseguiva ancora:

Mussolini non può sciogliere le squadre se non vuol cadere tra sei mesi. Egli non ha altre forze su cui appoggiarsi; essendo evidentemente il sindacalismo fascista un bluff. (p. 82)

Nell'ultima sezione di Avanti nella lotta, amore mio! ritroviamo il Gobetti lettore e critico. Riflette su Dante (qui rivelando una concretezza di recupero del messaggio del Sommo Poeta che raramente le istituzioni dimostrano oggigiorno), su Pirandello, Gogol', Alfieri, Ibsen. In ognuno di loro ravvisa dinamiche psicologiche e letterarie. Elimina la retorica e arriva al cuore delle loro poetiche con folgoranti definizioni come "Pirandello poeta della dialettica" e "l'eterno pellegrinaggio di Sibilla Aleramo". 

Man mano nella lettura di questo libro una geometria delle idee prende forma ma non è mai un'architettura statica e di astratte formule: è vitale e cangiante come un'esplosione primaverile. 
Febbricitante nella teoria come nell'azione, Gobetti oggi continua a indicarci la via e a dirci che per distruggere un mondo di pregiudizi e deficienze altra strada non c'è che l'ardore e la concretezza. 
"È un lavoro a lunga scadenza che mira a creare degli uomini migliori, più sinceri, più forti."  
Lui, così giovane, ci ha insegnato a non essere mai vigliacchi, a non cedere all'astensione: lo spirito dell'uomo oltrepassa i mali del mondo solo se palpitante di fede e ardore. 


Claudia Consoli