La fattoria del Coup de Vague
di Georges Simenon
Adelphi, febbraio 2021
pp. 142
€ 17,10 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Simenon scrisse questo libro nel 1938, a Beynac, in Dordogna, pubblicandolo a puntate, sul settimanale Marianne. E ancora una volta, attraverso questo micro-mondo di paese, queste vite piccolo-borghesi, ci restituisce un pezzo della sua incredibile produzione, e con esso un pezzetto di un altro lato di se e del suo talento.
La vicenda si svolge in un villaggio francese, popolato da mitilicoltori e all’ombra della fattoria del Coup de vague, ovvero del colpo d’onda, in omaggio metatestuale a quello che è il modo di vivere dei suoi abitanti e del suo protagonista. Tra i mitilicoltori che vanno a raccogliere ostriche e cozze, anche Jean e sua zia Hortense, «coriacea, granitica, solida», quasi fosse «fatta anche lei di calcare». È Hortense, insieme alla sorella Émilie, a far funzionare e cose in casa e in azienda.
Ma il protagonista, Jean, è un giovane che non è abituato ad assumersi nessuna responsabilità e ad ottenere quello che vuole. Così quando si invaghisce della bella Marthe, non si fa alcun problema a divertirsi con lei in un boschetto vicino casa. Ma questo gli procurerà un brusco cambio di vita, perché la ragazza resterà incinta. E mentre Jean sta ancora decidendo cosa fare della sua vita, le zie agiscono al suo posto, accompagnando la ragazza ad abortire. Non sarà la fine della vicenda ma l'inizio e a sue spese il protagonista capirà che in fondo non scegliere è il suo stile di vita, ed è quello che lo porterà ad un totale tracollo, che investirà, come la marea che sale e scende, ogni persona che gli gravita intorno, mettendo in discussione la sua stessa identità.
Il punto cruciale di tutto sarà il giorno del suo matrimonio, quando tutto intorno a sé gli appare confuso e gli altri sembrano prendersi gioco di lui:
Jean non si rendeva conto di aver bevuto, ma aveva bevuto quanto gli altri, perché tutti volevano brindare con lui. Aveva la testa pesante ed era di malumore. A mandarlo in bestia era soprattutto il fatto di non capire.
Si sentiva un po' come un bambino a cui i compagni hanno giocato un brutto tiro. Adesso Sarlat lo guardava in un modo apertamente aggressivo e anche i suoi amici non lo perdevano d'occhio e parlavano evidentemente di lui tra continui scoppi di risa. p. 54
Il mondo che Simenon ci descrive è un mondo con dei confini netti, nonostante si affacci al mare, e le persone che ci vivono sembrano come quei mitili che ogni giorno raccolgono e lavorano; cresciuti nella melma eppure tutti i fila, come ad avere un apparente ordine, restano attaccati in attesa di essere colti e trasportati da qualche altra parte. Mentre la personalità di Jean si espande, fino a farsi ingombrante, ma sempre all'ombra delle zie, quella di Marthe scompare ad ogni pagina, si riduce ad un'ombra e infine ad un rimorso, nell'estremo inganno che le due "megere" ordiscono ai suoi danni.
Non ci sono grandi picchi stilistici o momenti memorabili in questo romanzo, piuttosto la bravura di Simenon riesce a rendere di un'unica tonalità e sottotono, ogni parte di questa squallida vicenda, che non riusciamo nemmeno a biasimare, che ci lascia quasi indolenti, svuotati, come gusci vuoti di mitili senza più appiglio, come i personaggi che la pagina ci regala, con un cuore di estrema povertà e un'indolente attaccamento all'ordinarietà della vita.
Samantha Viva