Tempesta madre
di Gianni Solla
Einaudi, 2021
pp. 216
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ci sono rapporti speciali che lasciano liberi e rapporti speciali che condizionano, a volte per tutta la vita. Jacopo è da sempre molto legato a sua madre, che soprannomina "la segretaria", in onore del vecchio lavoro che conduceva alle edizioni Brahms e che ha continuato a rimpiangere. La donna si è sempre presa cura di lui, che, cagionevole di salute e dalla fervida immaginazione, ha riempito quaderni e fogli di lunghi elenchi di parole e di temi dai contenuti decisamente insoliti (qualche volta sconvenienti) per un bambino. Tanti sono i medici da cui Jacopo viene visitato, e altrettanti prescrivono qualcosa per lui e qualcosa per la segretaria. Cos'è, in fondo, l'accudimento? E dove una madre può trovare qualcuno che la accudisca a sua volta? Non certo nel padre di Jacopo, perché lui non vive con loro, resta sempre un passo indietro rispetto alla coppia di madre e figlio, eppure ogni tanto capita a casa e litiga, perché "tempesta madre" sa sempre come tirare fuori il suo peggio e suscitare reazioni violente in dialetto napoletano.
Molto meglio, invece, quando è Jacopo ad andare da lui, e nella macelleria padre e figlio riescono a comunicare a modo loro. C'è qualcosa di rassicurante nel fatto che il padre, pur con i suoi limiti, è sempre lì e cerca di insegnare al figlio i nomi dei coltelli, come tagliare i pezzi di carne, con la speranza di contribuire a farlo diventare uomo. Jacopo, dal canto suo, preferisce ritirarsi nella cella frigorifera e scrivere lì pagine e pagine che prenderanno odore di carne, ma che sapranno anche di concentrazione. E proprio una di quelle pagine, usata come involto per un pezzo di carne, offrirà a Jacopo l'occasione per un'amicizia singolare con un vecchio professore, qualcuno che crederà in lui e che lo porterà a mettersi in gioco con la sua scrittura. Tuttavia, la scrittura di Jacopo, lo vediamo bene nel corso del libro, è qualcosa di privato, da non esibire, ma da stringere forte a sé.
L'equilibro, seppure precario, delle loro vite viene travolto una prima volta da quello che a Jacopo pare un trasloco e che in realtà è una vera e propria occupazione di un appartamento nel Rione delle mosche. Lì Jacopo e la madre avranno uno stile di vita infinitamente diverso da quello che conducevano a casa della nonna, al Vomero. Scuola nuova, nuove compagne di classe: tantissime bambine! E Jacopo dovrà misurarsi con la femminilità e il corpo, qualcosa che lo incuriosisce molto e che ha sempre solo considerato in rapporto alla madre. Ecco che lei si fa così metro di paragone non solo di bellezza, ma anche di femminilità, e non c'è donna che nella vita di Jacopo non venga comparata con l'ineguagliabile figura materna.
Se nell'adolescenza incappiamo in tanto interesse per le coetanee ma in una sostanziale contemplazione, da adulto Jacopo trova impossibile costruire una relazione stabile e si rasserena solo all'idea di incontri provvisori, senza impegno, con una data di scadenza dopo due o tre appuntamenti.
Il destino, tuttavia, ha in serbo qualcosa, un secondo violento stravolgimento delle certezze, perché Jacopo incontra una donna diversa dalle altre, Veronica, e perché un giorno la madre viene trovata a vagare vestita da sposa, disorientata e in attesa del suo sposo. Il ricovero è inevitabile, e il padre di Jacopo le resta affianco, prendendosi cura di lei come mai ha fatto nella giovinezza. Che cosa provoca tutto questo in Jacopo?
Innanzitutto il ricordo, perché Tempesta madre parte proprio con questa scoperta destabilizzante del ricovero della madre, e da lì Jacopo, ormai giovane uomo, ripercorre la sua vita (o potrei dire "la loro vita", visto che raramente le due esistenze sono disgiunte), attraverso analessi giustapposte al presente in modo talvolta spiazzante, atto a generare ora sorrisi, ora commozione. E in questo Gianni Solla è estremamente abile, perché con il passaggio da un'emozione all'altra è ben dosato, senza mai cadere nella caricatura dei personaggi o nel patetismo.
Al termine di Tempesta madre emerge con chiarezza che sarebbe troppo facile parlare di Edipo, di rapporto simbiotico con la madre: molto meglio è leggere le pagine che Gianni Solla dedica ai suoi personaggi, perché sono pagine che trasudano emozioni, e se non vissuto, perlomeno verosimiglianza. Ci si affeziona alle stramberie dei personaggi, che ci vivono davanti episodi degni di essere ricordati, soprattutto nella prima parte in cui il romanzo si concentra su quadri ora teneri ora divertenti dell'infanzia di Jacopo. A suggellare ulteriormente la bontà della storia, arriva uno stile che sa farsi serio o ironico, asciutto o più morbido a seconda dell'esigenza. Impossibile non emozionarsi, un po' per la storia, un po' per la bella scrittura.
GMGhioni