Con "L'altro" di Thomas Tryon torniamo ai nostri incubi peggiori e ad un'infanzia perduta

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L’altro
di Thomas Tryon
Fazi Editore, marzo 2021
Traduzione di Giuseppe Marano

pp. 350
€ 16,50 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)


Due gemelli, Niles e Holland Perry, una fattoria nel New England, dove consumare le lunghe giornate estive, una perdita recente e dolorosa, quella del padre. Questi sono gli ingredienti di base per questo libro assolutamente inquietante, che ha come tematica il doppio. 

Quando Thomas Tyron lo scrisse, già con una lunga e avviata carriera da attore, aveva appena assistito alla proiezione del film Rosemary’s Baby di Roman Polanski, tratto nel 1968 dall’omonimo romanzo di Ira Levin, e ne fu così folgorato da volersi cimentare con la stesura di un romanzo proprio. 

Ne scrisse diversi, di genere horror e fantascientifico. L’altro è la sua opera più celebre, e ispirò il film omonimo diretto da Robert Mulligan.

Considerato un grande classico dell’horror, bestseller da tre milioni e mezzo di copie, paragonato a Shirley Jackson e Patricia Highsmith e precursore dell’esplosione del genere insieme a L’esorcista, questo libro gioca sul sottile filo del sospetto. 


Il lettore è portato quasi a presagire che qualche forza oscura stia operando, e i sospetti di concentrano dapprima su uno dei due gemelli. Ma sia all’inizio della prima, come della  seconda parte, è presente un io narrante che non riusciamo a interpretare e che non sappiamo ancora a chi appartiene, sull’errore a cui ci inducono le apparenze, i sospetti, i due caratteri cosi diversi dei due fratelli. 


A ben vedere, a livello stilistico, è nel gioco e nell’alternarsi di questa prima persona con la terza persona, che l’intreccio si configura come interessante, non riuscendo mai del tutto a distinguere chi è l’io narrante interno e se corrisponde, in qualche modo, alla terza persona, che è anche il protagonista. Chi sarà questo io quarantenne, così cinico e onnisciente, rinchiuso in un istituto, che ci dispensa giudizi sugli avvenimenti di casa Perry?

Credo che l’immaginazione sia una cosa salutare. Rende possibili molte più cose, no? Lo so; probabilmente state dicendo che Holland non ha mai avuto questo genere di immaginazione; ma vi sbagliate, Aveva immaginazione, eccome. Tantissima. Non era un’esclusiva di Niles, sapete. (p. 112)

Come se non bastasse, a rendere questo romanzo assolutamente unico, intervengono due elementi che sono di una modernità sconcertante, e di sicuro ne hanno alimentato il successo: il ruolo delle parti descrittive e quello degli oggetti simbolici. Ogni luogo ha una sua valenza significativa, la cantina, i nascondigli, il giardino, le stanze e così via. Sono testimoni, forse anche complici della vicenda, questi luoghi.


E non riusciamo a non confrontarli ai luoghi che tanta importanza assumono anche nella dimora di  Hill House, nel libro della Jackson; inoltre ci sono degli oggetti feticcio, altamente simbolici, il cui ruolo cresce man mano dentro la vicenda e che diventano dei veri e propri indizi, in un’indagine a ritroso, che il lettore potrà condurre una volta ultimato il libro.


Interessante anche la riflessione che Dan Chaon fa, nella sua postfazione, sul significato ultimo del romanzo: l’uccisione della fanciullezza che segna il confine con l’età adulta. Come se tutto fosse in fondo prefigurato e preparato per quel momento, e in quel momento i responsabili di questo abbandono, di questa parte dimenticata e rinnegata, possiamo essere solo noi stessi. Un po’ quello che i lettori scopriranno alla fine, in un gioco di incredibili illusioni, che nasconde l’illusione più grande. Ma di cui, potete stare certi, non riusciamo a cogliere del tutto l’insieme, nemmeno dopo l’ultima pagina. 

Tutto è il contrario di tutto e in ognuno di noi può esserci una parte che non vogliamo mostrare, una parte altra, aliena, una parte che non riusciremo mai a comprendere totalmente. In questo possiamo tranquillamente dirci in bilico tra lucidità e follia, come Tryon, abilmente, ci mostra.


Samantha Viva