«Teresa è stata uccisa, ed è tutta colpa nostra» (p. 9): si chiude con questa nota amara il bellissimo prologo con cui Valeria Usala ha pensato di condurci nel suo La rinnegata. Siamo davanti a un esordio narrativo sorprendente, che bilancia con grande consapevolezza il bisogno di rispettare la storia che la nonna dell'autrice le ha raccontato e al tempo stesso di avvincere il lettore in una narrazione serrata. Se leggete La rinnegata sarà il sentimento di ingiustizia a possedervi più volte, ma c'è anche speranza in questa storia amara di emarginazione.
La protagonista Teresa ha sempre saputo di doversi guadagnare ogni singolo momento della propria vita: da orfana, ha faticato per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena e poi per costruirsi insieme al marito Bruno una famiglia, una casa, ma anche un emporio fiorente e la più recente osteria, che gestisce lei stessa, nonostante debba anche accudire i loro tre figli. Dunque, che cos'ha da riproverarsi? Nulla, se non la sua bellezza, che - per quanto mai esibita - non fa che attirare gli sguardi e le parole degli uomini e le malelingue delle loro mogli, gelose. C'è chi come Carlo, minatore che spesso si ferma a mangiare all'osteria, avanza complimenti e proposte apertamente. Che cosa può fare Teresa, quando dovrà prendere decisioni da sola? In paese tutti guardano con sospetto la sua indipendenza, che è qualcosa di inaccettabile, eppure Teresa porta avanti con grande dignità e senso dell'onore una battaglia per la legittimità della propria autonomia.
D'altro canto, il paese ha già mostrato grande chiusura quando anni prima anche un'altra donna, Maria, è stata rinnegata: la sua storia, che si intreccia a quella principale di Teresa, è altrettanto ingiusta e straziante. Le decisioni prese d'impulso e gli errori non vengono perdonati, sembra sibilare il paese, che vede Maria semplicemente come la "bruja", la strega del villaggio, e che non manca di riservarle il sospetto che la donna in realtà non merita.
Mentre seguiamo questa storia, osserviamo accanto alla protagonista gli sguardi degli altri, dei compaesani, che si stringono addosso a Teresa, la giudicano, provano a spogliarla della sua fierezza, per invidia delle sue ricchezze e della sua bellezza, ma forse anche e soprattutto della sua forza d'animo. Presagiamo il dramma e al tempo stesso vorremmo arrivare a scoprire che cosa avviene e rimandare il più possibile questo momento. Commozione e rabbia si mescolano in questa lettura, ma a questi si aggiunge una prepotente ammirazione per la capacità di Valeria Usala di portarci lontano nel tempo e nello spazio, dentro sentimenti atavici, ma anche dentro parole, usi e costumi locali. Se è indubbio l'omaggio alla Sardegna (e alla sua letteratura), in La rinnegata distinguiamo uno stile autonomo, che ora sa farsi lirico ora più realistico e duro, ora testimonia il passo delle grandi storie di un popolo. E ringraziamo che, proprio come la sua protagonista, Valeria Usala ha vacillato, considerando che «l'esistenza, in fin dei conti, è solo un ricordo sbiadito dentro i cuori altrui» (p. 25), perché così ha trovato la forza per trasferire sulla carta una storia che sopravvivrà al tempo e che, speriamo, possa far conoscere l'autrice nel panorama letterario.
GMGhioni