Un viaggio oltre i limiti del razionalismo: l'Islanda magica e sorprendente di Birgisson in "La fonte della vita"

 




La fonte della vita
di Bergsveinn Birgisson
Iperborea, aprile 2021

Traduzione di Silvia Cosimini

pp. 320
€ 18 (cartaceo)
€ 9.99 (ebook)



1784, Islanda. L'isola, ai tempi colonia danese, è martoriata da numerose catastrofi naturali: l'eruzione di molti vulcani, l'ultima del Laki durata un anno, provocò gas che avvelenarono flora e fauna, causando una terribile carestia. Uomini e bestie morirono di fame e, dopo un terribile terremoto e un'epidemia di vaiolo, il governo danese prese in ipotesi il trasferimento della popolazione rimasta (meno di 40.000 persone) a Copenhagen per impiegarla come manodopera nella nascente industria nazionale. Prima di effettuare tale deportazione, la Corona danese invia un giovane studioso, Magnús Árelíus, per redigere relazioni ed effettuare rilievi topografici. Magnús Árelíus fa parte degli 

uomini dei tempi nuovi, che passavano come un vento fresco sulla nostra parte di mondo, era l'uomo nuovo, che voleva vincere la natura con le maniere forti delle scienze, domarla con il suo ingegno e la sua capacità di comprendere le leggi del grande ingranaggio del Signore. Tutto si poteva misurare, comprendere e scomporre in categorie opportunamente create, e quando ogni cosa era stata assegnata al posto giusto, come aveva insegnato il grande scienziato rivoluzionario Descartes, il compito delle scienze era di sondare la natura della cosa in sé e per sé [...]. L'uomo nuovo pensava; chi non pensavo o non dubitava, in un certo senso non esisteva. (p. 15).

Siamo davanti ad una duplice contrapposizione, politica e filosofica. Da una parte  gli oppressori (i danesi) e dall'altra gli oppressi (gli islandesi); ma gli oppressori personificano anche una visione della vita: il razionalismo trionfante dell'Illuminismo, mentre gli oppressi credono in simboli e segni, in una simpatia universale fra uomo e Natura, in fiabe e leggende, in un mondo magico. Bergsveinn Birgisson si muove in quest'ultima dimensione come a casa propria: ricercatore di filologia norrena, ha attirato l'attenzione della critica e del pubblico con Il vichingo nero, tradotto in dodici lingue e di cui la Paramount Pictures ha acquistato i diritti per creare una serie televisiva. Il piglio dello storico e dello studioso emerge con chiarezza ma senza pedanteria - se non una pedanteria ironicamente voluta - ne La fonte della vita, che invece conquista proprio perché sembra effettivamente un romanzo settecentesco, un  romanzo d'avventura con narratore esterno inframezzato dalle lettere che Magnús Árelíus scrive al cancelliere Levetzow, finanziatore della missione. L'alternanza dei punti di vista, che poi è l'alternanza delle due Weltanschaungen sopra ricordate, rende dialettico e brillante il resoconto delle disavventure dell'uomo di scienza convinto assertore del dominio dell'uomo sulla Natura e sulle sue forze misteriose. All'inizio del romanzo, Birgisson cita il Dialogo della natura e di un islandese di Leopardi e, in effetti, lo spirito dissacrante e a tratti macabro delle Operette morali sembra spesso fare capolino nel romanzo.

«Negli Strandir succedono più cose di quante la vostra scienza riesca a immaginare!» (p. 177) dice l'assistente a Magnús prima di abbandonarlo, ed effettivamente succede di tutto: apparizioni, crisi epilettiche, forze oscure e irrazionali, innamoramenti e, a sovrastare tutto, una natura indomita e pericolosa. Magnús Árelíus rimane solo, ma decide di continuare la sua spedizione. Il confronto a tu per tu con la Natura, scatena forze misteriosi, esterne ma soprattutto interne. Inizia una fusione con quella natura, fino ad allora considerata inanimata, e le persone del luogo, dal suo razionalismo considerate "selvagge" gli si rivelano sotto un'altra luce.

Si domandava piuttosto se quell'esistenza non fosse sufficiente, per un essere umano e che tutto l'appagamento e la pienezza della vita che aveva sempre attribuito alla forza della sua cultura e del suo benessere non li provasse anche lei nell'animo, finché restava ignara della sua cultura e del suo benessere [...] Cominciava ad apprezzare l'umorismo liberatorio delle fabulae soprannaturali di questo cosiddetto popolo ignorante, forse era lui quello povero, e la vita stava dalla parte della ragazza. Forse lei era nella condizione paradisiaca di Eva prima di mangiare dall'albero della conoscenza - lui invece apparteneva a un mondo caduto che avanzava sempre maggiori pretese, che doveva diventare sempre più potente, più ricco, più grande e più istruito (pp. 197-198).

Birgisson sta parlando dell'Illuminismo, ma parla all'età presente e alla nostra ratio che prende finalmente coscienza dei suoi limiti (la pandemia ha infine gridato che il re è nudo) e soprattutto degli effetti deleteri del suo manipolare la Natura. La fonte della vita è, come ogni grande romanzo storico, profondamente attuale. La donna di cui si innamora Magnús Árelíus è una donna senza lingua, muta. Proprio questo parlarsi con gli occhi, con i segni, intendersi in silenzio, mostra all'uomo di scienza che non c'è bisogno del linguaggio. Vi è un altro modo che consente agli uomini di comunicare. Questo universo empatico, questo legame profondo tra tutti gli esseri e il Cosmo è la fonte della vita, quella dell'acqua che salverà, grazie l'eroica dedizione della sua amata, la vita di Magnús Árelíus.

Soprendente, raffinato e colto eppure semplice da leggere, La fonte della vita rivendica l'orgoglio del popolo islandese, ma allo stesso tempo narra temi universali, quali il conflitto tra ragione e sentimento, tra natura e cultura, tra individuo e società.

 Deborah Donato