Il giardino giapponese
di Sophie Walker
con contributi di: Lee Ufan, Tan Twang Eng, Tatsuo Miyajima, Marcus de Sautoy, John Pawson, Anish Kapoor, Tadao Andō
traduzione di Alessandra Gallo, Irene Inserra, Barbara Venturi
editing scientifico: Stefania Piotti
L’ippocampo, 2017
pp. 304
€ 39,90 (cartaceo)
Sulla copertina di un volume dedicato al giardino giapponese sarebbe certo più che lecito aspettarsi una fotografia o un’illustrazione banalmente referenziale: l’immaginario comune sarebbe soddisfatto dall’associazione di parole e immagini, e la predisposizione a sfogliare il libro sarebbe probabilmente passiva, quasi una ricerca di ulteriori conferme. Ma se il tomo è Il giardino giapponese di Sophie Walker, già edito da Phaidon Press nel 2017 e poi dato alle stampe da L’ippocampo nella sua versione italiana, le cose cambiano. Perché a decorare il centro della copertina in spesso cartoncino telato, in un’alternanza di solchi e rilievi che anima il bel grigio monocromo e minerale, ci sono difatti dodici (o ventitre?) cerchi concentrici, in tutto simili a quelli in sabbia o ghiaia che si trovano nella tipologia dei cosiddetti giardini "secchi", privi di zone umide e di vegetazione. Non si tratta, come si capisce, di una scelta casuale o minimalista tout court. Al contrario, proprio citando la manifestazione più "intellettuale" di giardino giapponese questo simbolo sintetico ricco di significati e di rimandi cosmici ed energetici è la prima sfida interpretativa con cui il lettore è chiamato a confrontarsi, e non di meno un bersaglio perfetto che va dritto al cuore della faccenda, ovvero al desiderio di spiegare l’argomento del libro alla larga da superficiali stereotipi da cartolina. Difatti, e non da ultimo perché raccontato da un punto di vista concettuale ed esterno (in quanto occidentale), quello in questione è un lavoro che fa rispettosamente i conti con una tradizione di non-appartenenza, ponendosi nei suoi confronti non solo con rispetto ma anche con una certa gradevole neutralità che evita mitizzazioni, mistificazioni e inclinazioni eccessivamente liriche (se non addirittura “patetiche”) sia nell’impostazione sia nella prosa.
Per quanto abbia tutte le caratteristiche del cosiddetto coffe table book – sarebbe sufficiente il meraviglioso apparato di fotografie e immagini a colori che lo compongono e lo sostanziano – Il giardino giapponese non è solo un indubbio oggetto di bella (bellissima) presenza o un catalogo variamente capace di ispirare e trasportare in incantevoli scenari da sogno. A farne un volume autorevole e affidabile anche per necessità di studio, accademia e lavoro è difatti la qualità dei contenuti testuali, direttamente proporzionale al prestigio dei singoli redattori. A partire dall’autrice, come è ovvio, che dopo gli studi in storia dell’arte e la successiva specializzazione in orticultura, scienza delle piante e design di giardini, è stata, nel 2014, la donna più giovane a progettare un giardino all’RHS Chelsea Flower Show. Con uno studio di riferimento a Londra, Sophie Walker divide il suo impegno tra progetti pubblici e privati, affiancando l’ideazione di aree verdi a conferenze sul design concettuale, sulle piante e sul loro ambiente (e ovviamente sui giardini giapponesi!). Una vera e propria esperta in materia, dunque, alla cui voce solista fanno da perfetto coro i contribuiti sciolti di sette eccellenze, tutti nomi di spicco a livello internazionale e la cui origine, viceversa, non manca di incidere in qualche modo sulla percezione del fenomeno: Lee Ufan (pittore, scultore, scrittore e filosofo coreano), Tan Twang Eng (scrittore malese), Tatsuo Miyajima (tra gli scultori e artisti di installazioni più celebri del Giappone), Marcus de Sautoy (matematico inglese), John Pawson (architetto britannico), Anish Kapoor (scultore indiano tra i maggiori viventi), Tadao Andō (uno dei massimi architetti giapponesi).
Se ciascun “ospite” offre al lettore un breve saggio autoriale sul giardino giapponese basato sulla propria biografia e professione – riflessioni, similitudini, ricordi, opinioni, ispirazioni; ogni intervento è peraltro stampato su cartoncino di colore differente rispetto al bianco canonico – vale invece la pena soffermarsi sui titoli delle sezioni in cui Walker articola la sua trattazione, che lasciano intuire in modo evocativo la specificità tutta culturale del fenomeno che è argomento del libro. Dopo l’introduzione (La natura del giardino), si prosegue per tappe che scandiscono un percorso in cui estetica, filosofia, religione, spiritualità, arte e letteratura convivono insieme alla tecnica e alla botanica: La bellezza, il terrore, la forza; La Via: il corpo e la mente; Ampliare la conoscenza; Dualismo e Riflesso; Nascosto, implicito e immaginato; La sfida dello Zen: il giardino inaccessibile; Spazio e tempo: il giardino secco; La morte, il tè e il giardino; Lo spazio interno: il giardino da cortile; La poesia delle piante. Intervallata da lunghi fascicoli fotografici in cui vengono mostrate a mo’ di esempi alcune (sono 92 in tutto) tra le manifestazioni più emblematiche di questa categoria di giardini, la scrittura dell’autrice restituisce dunque all’oggetto di studio la sua verità “argomentata”, sfrondando e sradicando (peraltro senza esplicita intenzione polemica) preconcetti, ingenuità, semplificazioni e banalità sul suo conto, quasi sempre derivanti da un approccio occidentale all’idea stessa di giardino e al conseguente modo di viverlo, esperirlo e curarlo.
Richiamando l’attenzione su una molteplicità di aspetti tutti parimenti importanti e fondanti, l’autrice offre al lettore la possibilità di apprezzare la complessità di un artificio che è impossibile vivere con superficialità o esportare alle stregua di una moda o di una tendenza, e che ogniqualvolta si manifesta chiama in causa una tradizione antichissima e un sistema identitario forte, la cui profondità, non a caso, ha lasciato e ancora lascia impronte e tracce ben percepibili non solo nell'animo di ogni visitatore, ma anche nelle rielaborazioni di importanti artisti (da Yves Klein a John Cage, da Richard Serra a David Hockney) e architetti di epoca contemporanea (si pensi anche solo al Bauhaus e ai padri del Modernismo). Con una prosa chiara, piana e lineare che tuttavia non risparmia (e del resto non può farne a meno) l'utilizzo talora ostico della terminologia specifica giapponese, Sophie Walker traccia un identikit in cui i caratteri generali e i dettagli si equivalgono per misura e importanza, riconducendo sempre anche l'aspetto apparentemente più marginale e minuto all'ampiezza prospettica (visiva, spirituale, psicologica) che la stessa esperienza del giardino intende suscitare: dalla gestione mediata dello spazio e del tempo nella
creazione e nella fruizione del giardino alla necessaria ma variabile presenza di vegetazione, roccia e acqua; dall’atteggiamento
preliminare tanto fiducioso quanto timoroso nei confronti della natura alla ricerca e alla citazione del paesaggio spontaneo all’interno di un contesto
progettato, e dunque artificiale e culturale; dal sistema di raddoppiamenti, dualità, opposti, echi, rimandi e frattali che
caratterizza la scelta e la disposizione degli elementi del giardino all'importanza simbolica di ponti e passerelle; dal privilegio dato alla luce lunare invece che a quella solare alla parsimonia della presenza floreale; dagli apparenti paradossi rappresentati dai giardini programmaticamente inaccessibili o aridi alla dimensione tutta intima e privata dei cortili domestici interni.
Curato e completo com’è, il lavoro di Sophie Walker ha tutte le caratteristiche per porsi come un ottimo testo di riferimento. Impossibile, anche per chi lo sfoglia in assenza di qualsiasi nozione in merito, smarrirsi al suo interno in un’accezione che non sia positiva; al punto che viene quasi spontaneo paragonare la stessa esperienza di lettura a quella di esplorazione di un giardino giapponese vero e proprio, specialmente perché ci vuole un bel po’ di tempo prima di arrivare all’ultima pagina e perché ogni testo, ogni didascalia e ogni fotografia sono un invito alla sosta, alla meditazione sui concetti, alla valutazione delle idee e alla contemplazione delle immagini. A chiudere il volume ecco poi 72 specchietti sintetici relativi alle principali piante del Giappone, una scheda riassuntiva dei periodi della storia giapponese, una mappa geografica essenziale, un glossario relativo a termini e concetti emblematici della cultura dell’Estremo Oriente e un’immancabile bibliografia “nipponica” suddivisa per Giardini, Arte e cultura, Buddhismo e religione. Una volta richiuso il tomo – che davvero si consiglia di apprezzare con lentezza, poco alla volta – vale la pena prendersi ancora qualche istante per osservare quella copertina di cui si avrà forse compreso meglio il significato, facendo scorrere la punta delle dita in tondo lungo i solchi e i rilievi, avanti e indietro, in senso orario e antiorario: un'ultima occasione di pausa, un ultimo esercizio di raccoglimento; un ultimo pensiero da dedicare alle quattro caratteristiche principali del giardino giapponese: armonia, rispetto, purezza, tranquillità.
Cecilia Mariani