"La sposa del mare" di Amity Gaige: gli abissi, la mutevolezza dell'amore

La sposa del mare di Amity Gaige


La sposa del mare
di Amity Gaige
NN, 2021

Traduzione di Laura Noulian

pp. 352
€ 18 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook) 


 

È faticoso portare il peso di parole per sempre inespresse. (p. 127)
Una storia di abissi. La sposa del mare, l’acclamato romanzo di Amity Gaige pubblicato in Italia da NN, deve al mare e alle profondità molto più dell’ambientazione scelta, che di certo esercita un fascino tutto particolare sul lettore. Gli abissi raccontati da Gaige sono quelli di un matrimonio che si sta sfilacciando, ma anche le profondità personali che Juliet e Michael, i protagonisti di questo romanzo intimo e reale, si portano dentro. Ed è il mare, mutevole e sconosciuto, il luogo dove tentano di comprendere e forse salvare se stessi e il loro matrimonio, partendo per un viaggio in barca a vela lungo un anno, insieme ai due figli. Un viaggio che noi lettori seguiamo a partire dalla fine, intuendo che qualcosa di tragico a un certo punto è avvenuto: è dalla fine, dal ritorno a casa, infatti, che prende avvio la storia, dalle parole di Juliet chiusa nell’armadio della camera da letto a leggere il diario di bordo – e di vita – di Michael, nel tentativo di dare un senso a quanto accaduto ripercorrendo quei mesi e tutta la vita condivisa. La sposa del mare diviene così un racconto a due voci o meglio, un dialogo impossibile fra moglie e marito: le parole di Juliet, i suoi pensieri e il suo sguardo, si intrecciano a quelle di Michael, dove talvolta trovano conferma ma molte altre aumentano le distanze, intessendo tuttavia la trama di un matrimonio, imperfetto e complicato, ma proprio per questo estremamente vivido e reale. 
Mi immergo in questa storia affascinata da una tematica, quindi, che è fonte inesauribile di spunti, riflessioni, punti di vista, restando invischiata nelle pieghe di una narrazione che si comprende fin da subito non darà piena consolazione, che lascerà un gusto dolceamaro, «felici e tristi» come efficacemente osservato da Laura Noulian nella nota del traduttore alla fine del libro. È proprio qui, però, la forza de La sposa del mare, che rinnova una tradizione ricchissima provando a restituire la vita alla pagina, la mutevolezza dell’amore, le complessità degli individui. Raccontando gli angoli bui, le battute di arresto e le crisi che non è detto si possano superare, i pensieri più scomodi ancora considerati tabù. 
Avevamo quasi quarant’anni, e il nostro matrimonio, per entrambi e simultaneamente, si era, come dire, inspessito, addensato, era diventato una specie di porridge. Le differenze tra di noi, che prima avevano generato entusiasmi, adesso sembrava che non funzionassero più. L’amore c’era ancora? Sì, sì, ma ai margini. (p. 35)
Il matrimonio, quindi, è al centro della narrazione e da lì si irradia tutto il resto. Un rapporto «inspessito, addensato» forse a causa di quelle stesse differenze che un tempo li aveva reciprocamente incuriositi ma che adesso, dopo tanti anni accanto, rivelano l’abisso che li separa. Le opinioni politiche, in primo luogo, una differenza abissale fra i due che si fa sempre più pesante mano a mano che influenzano la vita insieme e che altre distanze si insinuano fra loro. 
E torniamo alla grande domanda che percorre buona parte della letteratura contemporanea, perlomeno di un certo tipo: quanto conosciamo davvero della persona che ci sta accanto? Di Juliet, Michael conosce il segreto più oscuro, ma lo comprende? Ne ha davvero capito tutte le implicazioni sulla sua vita adulta? Di Michael, Juliet conosce il dolore per la perdita prematura del padre, l’amore per lei, ma comprende fino in fondo il suo desiderio di libertà? E di cosa sarebbe capace, suo marito, per difendere le persone che ama e se stesso? Ancora, le parole che mancano per colmare certe distanze e vuoti, i segreti custoditi, le derive di certe scelte. 

La loro relazione, la vita condivisa e i traumi del passato, si mostra davanti al lettore in quel dialogo che non potrà mai più esserci fra i due, in una narrazione che piega il tempo e le convenzioni letterarie per farsi mutevole e imprevista come il mare che stanno navigando a vela. Ecco, nell’intimità costretta di quella barca, Juliet e Michael si avvicinano e si allontanano, comprendono qualcosa di più su se stessi e sul compagno, un attimo dopo si allontanano nuovamente. Un movimento perpetuo.
Perché non siamo mai stati capaci di continuare semplicemente ad andare avanti, Michael e io? Perché non siamo mai stati capaci di convertire i piccoli momenti di successo in un periodo duraturo? Adesso guardo in queste finestre, scruto in su e in giù questo isolato suburbano. È sera, ma non è ancora buio. Le finestre luccicano, opache. Non riesco a vedere dentro. Come fanno gli altri? Trattengo il fiato. La sera è silenziosa. Gli altri, se anche stanno bisticciando, sono molto silenziosi. (p. 96)
«Come fanno gli altri?» è una domanda che tutti quanti a un certo punto ci siamo fatti, consapevoli dell’errore che porta in sé: perché ogni storia, ogni relazione, segue regole proprie e talvolta quei «piccoli momenti di successo» si trasformano in una vita intera.

C’è poi nel romanzo di Gaige una stratificazione, una densità di spunti e riflessioni che increspa la superficie, parte dal nucleo narrativo per aprire a ulteriori considerazioni. L’abuso subito da Juliet, un trauma che ha messo radici dentro di lei, esplode prepotente con la maternità, con tutto il suo carico di implicazioni. La maternità che non sistema ogni cosa ma che anzi, forse le complica, che acuisce il peso di conflitti irrisolti e fa sprofondare nell’abisso della depressione con cui Juliet ha da sempre familiarità. I «brutti angeli» che la tormentano, venuti fuori i primi mesi dopo il parto e che ora, in quel presente senza Michael, la inchiodano al buio, dentro l’armadio. La maternità è un sentimento complesso, Gaige sonda l’abisso e, ancora una volta, non concede sconti o consolazione.

L’essere madre, l’essere figlia: ruoli intrecciati, che nessuno apparentemente sa interpretare davvero bene, non in questa storia, così vera da sembrare reale. E di cui non scioglieremo davvero tutti i nodi, ma dalla quale possiamo almeno prendere spunto per essere più clementi: verso noi stessi, verso le nostre mancanze. Ad avere cura. Di una barca, di chi condivide con noi la vita. Delle parole, che sono tutto ciò che abbiamo.
Mi ferisce pensare alle cose di cui non abbiamo mai parlato. Con quanta cura conserviamo i nostri segreti, mentre siamo assolutamente disattenti con tutto il resto. (Michael, p. 71)