Con un'immagine si può considerare il Monte Fuji come la punta di un compasso, la cui fissa perennità permette al cerchio degli accadimenti e delle esistenze di disegnare il proprio circo. (pp. 7-8).
In ognuna di queste cento immagini, il Fuji è una presenza potente e misteriosa, ritratta in maniera elegante, slanciata verso l'alto, emblema del Divino che si manifesta nel tumultuoso mondo degli uomini. Montagna sacra per lo shintoismo, sede degli spiriti e degli dei ancestrali, il Monte Fuji viene ritratto da Hokusai in quest'opera, racchiusa in tre quaderni, che si configura come una "Cappella Sistina portatile". Questa edizione, inoltre, segue l'ordine di impaginazione occidentale e non quella a senso inverso della versione giapponese originale.
Le stampe sono state restaurate digitalmente, con l'intento di seguire la perfezione dello sfumato della tonalità di grigio, scelta da Hokusai. Perché per la sua ultima opera, il maestro giapponese, rinunciò al colore, optando per l'essenzialità del grigio, in cui
gli effetti aerei del paesaggio e persino le sottili brume dell'atmosfera, i toni smorzati del chiaro di luna e il riflesso del Monte Fuji sul tremolio delle acque, sono restituiti con una grazia ed una precisione che in Occidente si possono ritrovare unicamente nelle incisioni di Rembrandt. (p. 10).
Quando Hokusai si accinse a iniziare quest'opera, aveva settantaquattro anni e, tuttavia, per nulla pago della sua ricerca, fermamente convinto che la perfezione artistica sia una via d'accesso all'immortalità. In una sua lettera, firmata "Il Vecchio Pazzo del disegno", Hokusai sintetizza splendidamente la sua poetica:
Dall'età di sei anni ho la mania di copiare ogni sorta di cose, e dai cinquant'anni in poi ho esposto molti disegni, ma non ho dipinto di notevole prima dei settanta. A settantatré anni ho cominciato a capire la vera natura delle piante e degli alberi, la struttura degli uccelli e degli altri animali, degli insetti e dei pesci. Quindi, a ottantasei anni, spero di aver progredito ulteriormente, e a novanta di aver carpito il significato segreto delle cose, così che a cento anni sia in possesso di tutto il divino mistero della mia arte, ed infine a centodieci ogni mio punto ed ogni mia linea siano animati di vita propria. Chiedo a coloro che mi seguiranno di credere alla sincerità di queste mie parole. (p. 12).
Rendere vive le forme, animare le figure, soffiare vita all'animato, l'artista diviene simile a un Dio e di questo alto compito, seppur nella semplicità del rigore giapponese, Cento vedute sul Monte Fuji vibra. L'opera si configura come uno straordinario romanzo visivo, che chiede allo spettatore un'educazione dello sguardo.
Corredato di un agile apparato critico in appendice, il volume è una meravigliosa esperienza di visione, nella quale la forma è assolutamente sostanza. L'edizione è curata in ogni dettaglio (come simpaticamente viene ricordato in conclusione del volume, in cui si citano gli "sciamani di corte del regno di WoM") e vengono ricordati la grammatura delle pagine, il filo che cuce la brossura e l'effetto pregevole della copertina che lascia intravedere la sagoma slanciata del Monte Fuji. Non ho trovato affatto pedante questa attenzione, ma in perfetta linea con l'educazione dello sguardo e l'immersione nella ricerca della bellezza di cui Hokusai ci ha benevolmente reso partecipi.
Deborah Donato