La mia vita dorata
da re
di Jenny
Jägerfeld
Iperborea, 2021
Traduzione di Laura Cangemi
pp. 319
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È un conto alla rovescia
quello che scandisce i capitoli del romanzo di Jenny Jägerfeld, da poco edito
da Iperborea nella sua collana rivolta ai giovanissimi. Mancano infatti
sessanta giorni all’inizio del nuovo anno scolastico, che il dodicenne Sigge affronterà
per la prima volta lontano da Stoccolma, nel paesino di Skärblacka dove lui, la
mamma e le sorelline si sono trasferiti per vivere con la nonna, proprietaria
di una piccola pensione ribattezzata pretenziosamente “The Royal Grand Golden
Hotel”. Questo trasferimento è per il protagonista una grande occasione per lasciarsi alle spalle gli anni precedenti,
le vessazioni subite dai compagni di classe, la mancanza di amici veri, le
insicurezze e la solitudine: “il
trasferimento mi dava infatti la possibilità di resettarmi. Trasformarmi in una
persona diversa” (p. 24). La chiave di volta per iniziare un nuovo corso è
quella di eliminare tutto ciò che lo fa
apparire “strano” agli occhi degli altri: coprire con un lungo ciuffo
l’occhio un po’ strabico, non indossare mai gli occhiali da vista con le lenti
spesse, non saltellare né mostrare troppo entusiasmo per le cose e,
soprattutto, non confessare mai, assolutamente mai, a nessuno, la passione per
il pattinaggio artistico. Sì, perché a Sigge risuonano ancora nelle orecchie gli insulti feroci, le denigrazioni, le umiliazioni
perpetrate dai prepotenti a scuola, ma anche da chi credeva amico. Adesso,
quello che desidera sopra ogni altra cosa è
diventare popolare. Superpopolare. Volevo che la gente gridasse e svenisse al mio passaggio, volevo che tutti mi chiedessero l’autografo, volevo che si facessero i selfie con me per poi correre via ridendo sovreccitati. Volevo essere come Kanye West o Beyoncè. Ok, forse un piccolo eccesso d’ottimismo. (p. 24).
In fin dei conti, dopotutto,
basterebbe anche solo essere come gli altri, riuscire a conversare normalmente
con qualche coetaneo e avere qualcuno vicino a cui sedersi in mensa.
Per ottenere il Sigge 2.0 è necessario procedere con
metodo, partendo da una rigorosa osservazione del reale, proseguendo con
accurate ricerche su Internet (ogni consiglio che ricorre più di cinque volte è
da considerarsi assolutamente attendibile) per arrivare alla formulazione di
una “to-do list” della popolarità,
che prevede tra le altre cose indossare vestiti di marca, offrire sigarette di
cioccolato, avere un aspetto muscoloso, usare le gomme da masticare per non
avere l’alito cattivo...
Benché
il pretesto narrativo sia della massima
serietà e l’autrice non sminuisca mai i sentimenti del suo protagonista,
che a tratti ricorda con angoscia, paura e vergogna i suoi trascorsi scolastici
e gli episodi di bullismo di cui è
stato vittima, il tono generale del romanzo non è affatto drammatico. Si
ritrova in questo testo un tratto comune anche al precedente Miss Comedy Queen (recensito qui), cioè
la precisa volontà dell’autrice di scrivere
una storia vivace, allegra, che muova al riso e tratti con leggerezza temi
importanti, non certo per sottovalutarli, ma per mostrare ai lettori più
giovani che da ogni situazione critica è possibile uscire con il debito aiuto e
che la vita assume un aspetto differente, risulta subito meno pesante da
(sop)portare, se la si guarda da una nuova prospettiva, e possibilmente in buona
compagnia. In effetti, a osservarla bene, l’esistenza di Sigge appare tutt’altro che convenzionale. Proprio
mentre ricerca insistentemente una presunta normalità, che altro non è che
appiattimento sul sentire comune, il ragazzino è infatti circondato da personaggi che della stranezza fanno il
proprio punto di forza: la nonna Charlotte, che vuole essere chiamata solo
Charlotte per non “essere sminuita nel
suo essere umano” (p. 15) da nomignoli come mamma o nonna, che
partecipa a corse automobilistiche, indossa tutine argentate ricoperte di
strass e colleziona animali impagliati; la sorellina Majken, che parla a un
volume spropositato, sa mangiare tre salsicce surgelate in un minuto e
nonostante questo è sempre piena di amici; la piccola Bobo, che a quattro anni
ancora non sa dire che poche parole, tra cui “cetriolo” e “lontra” (o meglio,
“cetliolino” e “lontla”). O ancora Krille Meringa, regista ultrasessantenne
dalle innumerevoli idee e nessun film realizzato a suo carico, o la vicina di
casa Juno, aspirante giornalista dalla folta capigliatura blu elettrico. Ci
mette decisamente un bel po’, quasi tutto il tempo della sua estate, il giovane
Sigge a rendersi conto che hanno ragione le persone che gli vogliono bene, e
che gli ricordano che il modo migliore
per essere popolari è essere se stessi, e accettarsi nella propria unicità:
“Però questa storia di piacere agli altri...”, rifletté la nonna. “Non sarà un po’ sopravvalutata? Se invece sei tu a volerti bene, quello sì che è l’inizio di un amore che dura tutta la vita” (p. 82).
È
infatti ora di finirla – sembra ricordarci
l’autrice – con gli stereotipi che
vogliono ingabbiare le persone all’interno di confini rigidi, di scatole
preconfezionate, ma non è così facile rendersene conto a dodici anni, se il tuo
modo di percepirti è filtrato dallo sguardo distorto e malevolo dei coetanei:
Era come se dovessi sempre tenermi sotto controllo. Se lanciavo una palla nel modo sbagliato, se parlavo con la voce troppo acuta, se per sbaglio ammettevo che mi piaceva qualcosa che non avrebbe dovuto piacermi (pattinaggio artistico): subito scattavano gli sguardi, per lo più di altri maschi. Non era così che si doveva fare, parlare, ragionare. Anche se non avevo mai capito perché. (p. 142)
Nel lungo cammino verso una nuova consapevolezza di sé, Sigge
deve più volte sbattere la testa (metaforicamente e letteralmente), ma anche
affrontare mille rocambolesche avventure, tra cui il furto di un nano da
giardino, lo sviluppo di una nuova invenzione a partire da un fucile subacqueo,
il recupero di una tartaruga fuggitiva, o la partecipazione a una première di gala. Dal gusto e dal
sincero divertimento con cui Jenny Jägerfeld narra queste situazioni quasi
surreali scaturisce la profonda comicità
del testo che, pur essendo adattissimo a un pubblico compreso tra gli
ultimi anni delle scuole medie e il biennio delle superiori, spinge
inaspettatamente alla risata anche il lettore adulto, che si trova totalmente
coinvolto nelle buffe trovate del protagonista, come quella di disegnarsi con
l’ombretto glitterato della nonna degli addominali scultorei subito prima di
una gita al lago.
In
un panorama narrativo che tende a privilegiare la narrazione tragica o
commovente del vissuto adolescenziale, un romanzo che sceglie invece di seguire
la via dell’umorismo arriva come una boccata d’aria fresca e ricorda a ogni
lettore che non ci si deve arenare in quella che può apparire (molto più spesso che essere) una “vita schifosa da buttare”, ma si
deve ricercare piuttosto un’esistenza che sia “royal, grand and golden”, una vita dorata da re, come ci
ricorda il titolo.
Carolina Pernigo