Le cose giuste
di Silvia Ferreri
Rizzoli, 2021
pp. 224
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Marisa e Pino hanno paura ma non si piegano. Hanno dalla loro parte la forza dell’onestà e il desiderio di vivere come tutti gli altri. Quando Francesco ha poco più di un anno nasce Ottavia. Perché non c’è timore che possa privarli del sogno di costruire la loro famiglia. (p. 18)
Silvia Ferreri, giornalista, esordisce a livello letterario nel 2017 con La madre di Eva, pubblicato da Neo edizioni, un romanzo complesso che affronta due temi cruciali come l’identità di genere e il rapporto madre-figlia; un romanzo, di cui ho parlato anche su queste pagine, che ha subito una forte risonanza mediatica perché forti sono i contenuti e forte è la scrittura: viene presto tradotto in spagnolo, francese e cinese e arriva finalista allo Strega 2018. È un romanzo scritto in prima persona, nel quale le riflessioni etico-esistenziali della protagonista si fondono con la narrazione vera e propria e, sebbene il punto di vista imponga un certo concetto di giusto e sbagliato, l’argomento e il modo in cui viene sviscerato non consentono di porre la parola fine sul tema, soprattutto quando il tema è la transizione da donna a uomo. La madre di Eva è chiaramente uno di quei testi i quali, una volta conclusi, aprono lo spazio della riflessione.
Le cose giuste è un testo diverso e lo si capisce dalle prime pagine. Al centro, ancora una volta, delle donne comuni che si trovano a dover fare i conti con quelle sorprese che la vita pone davanti senza chiedere permesso, e che arrivano a stravolgere piani semplici come l’avere una famiglia felice o una carriera importante. Nelle cinque storie si affronta di tutto: dalla ricerca della sicurezza a seguito della denuncia della ’ndrangheta alle difficoltà delle open adoption negli USA; dalle violenze subite dal proprio figlio da parte di un parroco di cui si fidava fino alla terribile esperienza dell’anoressia che, in poco tempo, brucia una promettente carriera agonistica; per finire con il calvario dell’adozione, stavolta tutta made in Italy. Sono storie vere, per le quali Ferreri, da ottima giornalista qual è, ha raccolto le testimonianze dirette di chi le ha vissute: donne forti, si è detto, capaci di superare l’inferno, di supportare compagni, di salvare le vite dei figli.
La differenza fondamentale riscontrabile fra La madre di Eva, a cui necessariamente la mente ritorna, e Le cose giuste è che, mentre nel primo testo, come anticipato, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato viene in ultima analisi lasciato alle riflessioni del lettore, in quest’ultimo libro non v’è possibilità di errore: il lettore sa cosa è giusto e sa cosa è sbagliato. Complice forse l’affondare i denti nel mondo reale attraverso le interviste alle donne protagoniste, resta il fatto che non si crea quel gioco delle parti che vede il lettore coinvolto nella discussione etica, che porta a domande come “cosa farei io al suo posto?” o riflessioni quali “non saprei dire, a oggi, se la mia opinione su questo argomento sia ancora salda”. Nomen omen, insomma, perché le cose giuste sono proprio ciò che le protagoniste ritengono essere tali e che la scrittrice ritiene essere tali: la visione manichea che il lettore si ritrova davanti impedisce un dialogo diretto fra chi legge e chi scrive. Semplicemente, il confine fra bene e male è troppo netto per consentirlo.
Per concludere, un accenno allo stile: la scrittura di Ferreri è sempre limpida e precisa, quasi chirurgica, e la padronanza del linguaggio è un notevole punto di forza del libro. Una nota negativa arriva però da alcuni passaggi nei quali si sente una punta appena troppo accentuata di pathos che, sforando nel patetico, satura la lettura («Annarita è stremata. A questo sono dovuti arrivare per farti mangiare, Elisa, per non farti morire?», p. 146). Se l’intento era muovere a pietà il lettore, non è ben chiaro se sia riuscito o meno.
David Valentini
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