Se l'ideale si scontra con l'abisso: "Fino alla fine del fiato" di Marco Magnone


Fino alla fine del fiato
di Marco Magnone
 
Mondadori, 2021
pp. 213 
€ 17,00





C’è un uomo accampato nel bosco. Ha con sé una tenda e un fucile. Tende l’orecchio per ascoltare quello che succede sulla montagna. Poche centinaia di metri più sopra, infatti, in una conca tra le cime ogni anno viene ricreata l’Isola.
L’Isola è un campo estivo per giovani, organizzata da Nando e René, due ex-Sessantottini, grandi sognatori, che hanno voluto inventare il luogo di cui avrebbero avuto bisogno quando erano giovani: un luogo di ritrovo e di libertà,
dove i ragazzi, per qualche giorno, possono prendersi una boccata d’aria dal mondo, e parlare di ciò che vogliono. Far sentire la propria voce e ascoltare quelle degli altri su questioni come ambiente, diritti, politica, giustizia sociale, futuro. (p. 16)
All’Isola si ritrovano adolescenti tra i tredici e i diciotto anni, pieni di valori e voglia di stare insieme. Ci sono i veterani, come Seba, che ci va per condividere i suoi slanci etici, per infiammarsi e infiammare gli altri con i suoi progetti per migliorare il mondo, ma anche i neofiti, come il suo migliore amico Filo, che ha faticosamente convinto a unirsi al gruppo per la prima volta, o la sorella di lui, Martina, che da un po’ gli fa battere il cuore.
La narrazione prende l’avvio intorno alla notte del Solstizio d’Estate e alle sorti di tre ragazzi molto diversi tra loro: perché Seba è sicuro di sé, generoso, pieno di idee, di energia e di voglia di condividere; Martina sta fiorendo come giovane donna, ma non ha ancora trovato un linguaggio per comunicarsi che non sia quello del suo corpo in movimento sul campo da calcio, Filo invece è chiuso in se stesso e nelle sue paure, in sentimenti che non riesce a confessare, in insicurezze che lo portano a cercare l’attenzione altrui in modi non sempre sani, o a sprofondare nell’invisibilità. Magnone è molto abile nel cristallizzare sulla pagina scorci di vite non concluse, non solo quelle dei tre protagonisti, ma anche quelle dei loro amici: Erica, con la sua voglia di darsi da fare; Gabri, appassionato di musica, a cui nessuno dà molto credito; le inseparabili Silvia e Rasha, e molti altri ancora.
Mentre nell’accampamento fervono i preparativi per la grande festa che avrà luogo in serata, nel romanzo si avverte la tensione crescente legata alla presenza incombente dell’uomo con la carabina, appostato nel buio a macerare il suo astio e a covare progetti non detti: 
[pensa] a quanto il mondo sia impazzito, come un cane da abbattere. Ai suoi tempi c’erano delle regole. [...] Oggi invece. I ragazzini si sono montati la testa, si sono convinti di essere chissà che cosa, di sapere tutto, di potere tutto. E che sia sufficiente mettersi a frignare, e battere un po’ i piedi davanti ai grandi, per salvare il mondo. Per tenerlo in pugno. Cazzate. (p. 37)
E se è vero che i sogni possono cambiare la vita delle persone, per chi non ne ha più, per chi non vede alcun senso al proprio esistere e si abbandona alla paura o alla rabbia che divampa, è difficile trovare altre vie al di fuori della violenza. Come i sogni, anche i proiettili colpiscono, e nel farlo possono cancellare tutto ciò che non si riesce a sopportare.
Come spiega in una nota conclusiva, l’autore trae ispirazione da un terribile fatto di cronaca: nel 2011, infatti, su una piccola isola norvegese, un fondamentalista di estrema destra ha fatto un attentato uccidendo quasi settanta persone, tra cui molti giovanissimi. Magnone cambia l’ambientazione e il contesto della storia, ma non l’idea di fondo, mostrando – netta e dolorosa – la contrapposizione tra due prospettive esistenziali, tra due stili di vita: quello di chi sceglie di appartenere a qualcosa, di progettare attivamente, di unirsi agli altri alla ricerca di uno sguardo comune, e quello di chi invece vuole solo distruggere.

Seba ha la sensazione di trovarsi di fronte a un’astronave. Atterrata sulla Terra da un pianeta alieno, con un carico di idee e ideali, cause in cui credere e per cui spendersi, ma anche di leggerezza e di voglia di vita, tra nuove e vecchie amicizie da intrecciare, e forse persino un amore da esplorare. Tutto questo, tutto insieme, non è solo un luogo, è un’idea di mondo cui Seba sente di appartenere, come a nient’altro. (p. 50-51)
È proprio questo mondo che vuole distruggere l’uomo con la carabina, quando la sua furia si abbatte, insieme al temporale, a devastare il campo e l’innocenza di chi lo abita.
Se la prima parte del romanzo è focalizzata su quello che accade prima dell’evento drammatico che ha ispirato la storia, che resta quindi ad aleggiare sullo sfondo, nella seconda si assiste al dilagare dell’orrore, si raccontano le vite giovani congelate per sempre dal delirio altrui in un eterno slancio verso il proprio futuro. L’accostamento delle due sezioni è fondamentale, perché permette di attribuire un peso equivalente ai diversi contenuti: per l’autore non è narrativamente importante soltanto il gesto estremo, folle dell’uomo con la carabina, ma anche le esistenze dei personaggi che lo subiscono. In questo senso, il grande coraggio di Magnone è quello di dire il prima, ma anche il dopo la strage. Il prima, che fa risaltare ancora di più la tragedia delle vite stroncate. Il dopo, che mostra la difficoltà di tornare alla luce per chi ha dovuto confrontarsi con l’oscurità dell’animo umano, il magma di fango, sangue e ricordi in cui si trova ad annaspare chi resta. Lo fa nell’unico modo possibile: con una prosa asciutta, piena di gesti e di immagini, perché per chi sopravvive le parole diventano difficoltose ed è necessario trovare nuovi strumenti per recuperare un contatto con altri e con il reale, ma anche perché è arduo raccontare una storia del genere senza sprofondare nella retorica e l’unica possibilità è forse quella di non affrettare il giudizio e osservare i fatti narrati sotto diversi punti di vista. L’autore riesce nell’intento, raccontando una storia che gela e commuove, ma che riesce anche ad aprire uno spiraglio sulle infinite risorse che l’individuo ha per rialzarsi e per ricominciare a guardare avanti.
 
Carolina Pernigo