Caccia all'assassino di Calle Santa Fe. "La morte arriva in ascensore" di María Angélica Bosco ci porta nell'Argentina degli anni '50

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La morte arriva in ascensore
di María Angélica Bosco
Rina Edizioni, 2021

Traduzione di Francesca Bianchi

pp. 185
€ 18,00 (cartaceo)

Buenos Aires, Calle Santa Fe 9, esterno notte. Un uomo, visibilmente ubriaco, sta tornando a casa, è di fronte a quel palazzo signorile, distinto, dove abita al quarto piano. Agognando il disiato letto, preme il pulsante per chiamare l'ascensore che, bizzarramente appare occupato. Alle 2 di notte... strano. Quando finalmente le porte si aprono appare agli occhi di Pancho Soler una visione, o quella che a lui, tra i fumi dell'alcol, sembra tale: una bella donna, bionda, impellicciata, truccata... ma visibilmente morta.
Si apre con questa scena "La morte arriva in ascensore", romanzo poliziesco di María Angélica Bosco, tra le più grandi scrittrici argentine del Novecento.
Ma non stupitevi se non la conoscete. È con questo romanzo, infatti, che la Bosco si affaccia per la prima volta sul panorama letterario italiano, grazie a una piccola casa editrice, nata pochi anni fa, Rina Edizioni, che si è posta il meritorio obiettivo di ridare nuova vita e nuovi lettori a scrittrici per un motivo o per l'altro dimenticate. Le autrici straniere, come la Bosco, popolano la collana "Agua Viva", diretta dallo scrittore Luciano Funetta.
La scrittrice argentina che, nella sua lunga vita attraversò l'intero secolo (nacque nel 1909 e morì nel 2006) fu pioniera, certamente tra le prime, forse addirittura la prima nel suo Paese, ad avventurarsi nel territorio del poliziesco, allora generalmente riservato alle penne maschili e codificato da regole e consuetudini che ne scandivano la trama e le architetture narrative. Un genere con il quale l'Argentina degli anni 50 si misurò molto da vicino. Un nome su tutti, Ricardo Piglia. Lo stesso Jorge Luis Borges ne era appassionato fino a fondare, con Adolfo Bioy Casares, una collana chiamata "El Septimo Circulo" (vi dice qualcosa? ... nel settimo cerchio dell'Inferno dantesco sono puniti i violenti) ed è proprio in questa collana che il libro della Bosco nel 1955 fece la sua prima apparizione.
Anni 50... che Argentina è quella dei protagonisti del nostro romanzo? Al governo c'è Juan Perón, sono gli anni di Evita, che muore nel 1952, entrando nel mito. Sono anni di una certa prosperità economica, almeno fino ai primi anni 50, è il periodo che in realtà precede un golpe, il colpo di Stato che nel 1955 costrinse Perón a rifugiarsi nella Spagna franchista. Tutto questo però nel romanzo della Bosco non c'è. Almeno non in bella evidenza. L'autrice sceglie infatti di raccontare l'Argentina attraverso la lente di un microcosmo, quello di un condominio borghese, i cui abitanti rappresentano un esatto spaccato di quella società creata sull'immigrazione: c'è chi viene dalla Germania e ha un passato da dimenticare (e soprattutto da far dimenticare... e la Storia sa bene quanti nazisti trovarono un rifugio e nuova vita in Argentina), c'è chi proviene dai Paesi dell'Est Europa, c'è chi viene dall'Italia (quanti nostri connazionali riempirono i transatlantici per trovare lavoro oltreoceano) e c'è chi viene dalla Spagna, la patria dei conquistadores, la terra che di sé ha lasciato la lingua.
Tutto il romanzo si svolge all'interno del palazzo e il lettore si muove tra l'ascensore, le scale, i pianerottoli, gli appartamenti degli inquilini, i locali di servizio dove viene gettata la spazzatura. Cinematograficamente la sceneggiatura si potrebbe tradurre in una lunga sequela di "interno 1", "interno 2", "interno 3" e via dicendo.
L'assassino è da cercarsi tra gli inquilini, questo risulta chiaro ben presto ed è interessante seguire il dipanarsi della trama attraverso i dialoghi dei condomini, ognuno ben attento a non svelare parti della propria vita privata che, seppur non ascrivibili a quello che appare subito come omicidio, fanno pur sempre riferimento alla sfera privata. Ciascuno nasconde qualcosa, chi un pezzo di vita passata, chi un diversivo del presente, chi una speranza per il futuro. Si conoscono davvero queste persone? Quanto sanno l'una dell'altra? Quanto possono spingersi a raccontare? La trama prosegue come una partita di scacchi, le cui pedine sono mosse, negli interrogatori, dal commissario Ericourt e dal suo assistente Blasi che piano piano cercano di dipanare la matassa. Finché il castello di carte crolla e, nelle pagine finali, rimane in piedi soltanto la carta dell'assassino. E con essa la soluzione dell'enigma che riesce a sorprendere anche il più attento lettore.
Siamo alle prese con un romanzo non semplice, soprattutto per noi lettori moderni adusi a una cultura eminentemente visiva. Nulla indulge al visuale, non ci sono descrizioni, tutto è molto minimal. Siamo agli antipodi dello splatter e del sangue sparso. La vicenda stessa si srotola in maniera molto elegante, supportata da una lingua raffinata, forse in taluni casi fino a rasentare l'artificioso. dal punto di vista narrativo, pur inserendosi nel solco tradizionale e nel canone del poliziesco, María Angélica Bosco intraprende una via nuova, quella del giallo psicologico: è proprio scavando nella psiche dei protagonisti che si formeranno i presupposti per arrivare alla soluzione.
Che poi la soluzione dell'enigma forse, non è nemmeno la cosa che più interessa all'autrice, presa com'è piuttosto dal dare forma ai suoi personaggi con tratti psicologici approfonditi. Figure che riempiono la scena ognuna con il proprio carico di vita e di possibili moventi: è davvero un romanzo corale, protagonisti sono gli inquilini, coinvolti loro malgrado in una vicenda spiacevole, protagonista è il palazzo con i suoi spazi. Quella che manca, se non in controluce, è la Buenos Aires del tempo, questa città che doveva essere un crogiuolo di vita, di lingue, di danze, di sole. Mi sarebbe piaciuto che la città avesse fatto capolino qualche volta di più nelle pieghe del romanzo... ma probabilmente non era nelle intenzioni dell'autrice la quale intendeva piuttosto descrivere la complessità di un mondo fatto di relazioni umane.
Ne risulta, in sintesi, un romanzo piacevole, che sa di passato, la lettura ce lo dice, un tuffo all'indietro, alla scoperta di come si scriveva un giallo e forse adesso non usa più.

Sabrina Miglio