Ritorno all'isola delle donne
di Molly Aitken
Garzanti, aprile 2021
Traduzione di Alba Bariffi
pp. 256
€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Quella bambina non sarebbe mai stata come i maschi. Una figlia ha bisogno della madre. Una figlia non affoga mai, non va mai via. (p. 15)
In una notte di tempesta dove anche i più arditi pescatori non riescono a sfuggire alle onde, Oona viene alla luce. Ha già due fratelli e la madre è felice di avere una femmina che non la lascerà né sfiderà il mare. Quella stessa notte, nasce un altro bambino. Felim è figlio di Aislinn che si sussurra essere una strega, una fata, che parla il linguaggio del mare e non esita a richiamare a sé gli uomini, a giacere con loro, a offrire pozioni alle donne, a ballare nuda sulla spiaggia.
Oona non è la bambina tranquilla che sua madre si aspettava. Vuole uscire dall'isola e dal ruolo che sembra essere stato preparato per lei, quello di moglie e di madre come unico orizzonte quello delle mura domestiche. È affascinata dalla personalità di Aislinn e attratta da Felim, legato a lei da quella notte di tempesta. Tutti questi elementi non possono che minare il rapporto madre-figlia. Se si cresce con dinamiche di desiderio di amore e riconoscimento e si ricevono solo punizioni e colpe e se questo è l'unico modo che si conosce per essere madri, allora è chiaro che queste dinamiche saranno destinate a ripetersi.
L'isola irlandese in cui si ambienta la vicenda raccontata in Ritorno all'isola delle donne dell'autrice esordiente Molly Aitken sembra fuori dal tempo. Non ci fosse, ad un certo momento, una precisa indicazione temporale, potremmo benissimo pensare di trovarci nell'Ottocento, anziché negli anni Sessanta del secolo scorso, periodo in cui nasce Oona. L'isola di Inis ha un'economia basata solo sulla pesca, le tradizioni del folklore convivono fianco a fianco con il cristianesimo più intransigente e i ruoli basati sul sesso sono ben definiti: gli uomini fuori per mare, le donne come mogli e madri a casa. Gli uomini sfidano le tempeste rifiutandosi di imparare a nuotare perché sarebbe un affronto al destino, le donne prese dalla cura domestica e con il solo sfogo di alcuni pettegolezzi coperti dal rumore dei telai contro Aislinn e il suo sospetto modo di vivere e amare. La seconda di copertina dell'edizione Garzanti trae un po' in inganno sul perché l'organizzazione della società rispecchi questo modello e si attribuisce la responsabilità agli uomini che dettano legge. Eppure, per quanto possiamo vedere, sono le stesse donne così incistate nel ruolo che, certo, da secoli è il loro, da non riuscire a immaginare altro, né a essere pronte a supportare e benedire le figlie che possono volere una vita diversa.
Non è il padre di Oona ha impedire che lei vada a scuola, che giri per l'isola alla scoperta della sua terra, che limiti le sue amicizie. È sempre Mary, la madre, che, nel momento in cui la figlia non risponde alle aspettative, non fa altro che mortificarla, limitarla e rovesciarle addosso anche la colpa di eventi tragici e violenti che non possono di certo ricadere sulle spalle di una ragazzina. Nel momento in cui "l'esterno", un accenno di modernità, entra nell'isola, incarnato dalla zia Kate che fa la segretaria a Galway, e con esso il desiderio di fuga di Oona, lei riesce solo a chiudere tutte le porte: quelle, metaforiche, dei sentimenti, e quelle fisiche della casa, chiudendo in camera la figlia, come nelle peggiori favole, per evitare che lei scappi.
Non sono gli uomini a gettare addosso ad Aislinn la nomea di strega, a ostracizzarla e a tenere lei e il figlio lontano dalla vita della comunità. Sono sempre le donne che aizzano e la tengono lontana, salvo servirsi di lei nei casi in cui ci sia una stringente necessità data dal rifiuto della maternità. E Aislinn, che non è una strega, ma semplicemente un'infermiera qualificata, non lesina aiuto a chi non vuole portare a termine una gravidanza uscendo così dal ruolo di madre.
«Be', se davvero vuoi saperlo, certi uomini la fanno franca con ogni tipo di crimine, non solo l'omicidio. E le donne non la fanno mai franca per niente. Ci danno la colpa anche dei delitti degli uomini, sai.» (p. 99)
Così dice Kate a Oona ed è certamente vero. Ma la colpa che ricade sulla giovane Oona e che la spinge ad abbandonare l'isola, non le viene attribuita dagli uomini: è sempre la madre a rovesciare su di lei lo stigma del peccato e della colpevolezza. Non c'è quindi da stupirsi se, nel momento in cui la maternità toccherà anche la vita di Oona, il rapporto con la figlia non sarà improntato alla vicinanza.
Sarebbe semplice abbandonarsi allora alla visione assolutista che se nemmeno le donne fanno rete tra di loro, allora non cambierà mai nulla, ma Oona, al di là di qualunque giudizio di genere, è onesta con se stessa.
Vorrei aver sognato tutto per poter fare ogni cosa daccapo, e farla meglio. Ma non c'è modo di disfare il tempo come i punti di un vestito, perché succederebbe tutto di nuovo. Io sarò sempre io, e gli uomini della mia vita non saranno mai diversi. (p. 274)
Incastrati in quello che l'educazione e il carattere hanno deciso per noi, c'è poco spazio per l'autodeterminazione. Siamo quello che ci hanno fatto diventare, non c'è sconto, non c'è fuga.
Il romanzo è organizzato su due linee temporali narrative. Il passato e l'infanzia di Oona si intrecciano al presente in cui la figlia Joyce è scomparsa, alla ricerca delle sue origini, e del percorso di Oona per trovare il coraggio di tornare sull'isola dalla quale è precipitosamente scappata. Con un ritmo un po' più lento nella prima parte, il romanzo prende abbrivio e velocità mano a mano che si prosegue nella lettura. Intervallato da una narrazione di tipo quasi mitologico – che richiama molto da vicino il mito di Ade e Proserpina –, il tema portante del romanzo è di certo la maternità. Ma una maternità che è la conseguenza del ruolo che ci aspetterebbe che noi recitassimo e che non riesce sempre bene. Non bastano carne e sangue per definire un legame d'affetto.
Giulia Pretta