«Sarebbe ora che li trovassi» sghignazzò lui. Poi si versò ancora saké. «"Una rosa sola sono tutte le rose"» disse. «Questo è Rilke, altro che la tua scienza del cavolo! Credi che tuo padre non guardasse le rose? Ha fatto una vita da mercante e non ha mai capito niente di donne, ma era un samurai, sapeva che le linee dritte sono fatali» (pp. 132-133).
La "linea dritta" è la fissità, l'incapacità di assumere nuove prospettive, il cristallizzarsi in una forma morta, mentre «il bambù insegna la deviazione». Il percorso di Rosa a Kyoto sarà proprio un percorso di deviazione, secondo il ciclo mai immobile della natura. Rosa aderisce a un ritmo non più umano, sfascia le dighe di contenimento del suo "io" triste e disilluso, tanto che Beth - un'altra occidentale trasferita a Kyoto - le dirà:
La vita è stupefacente (...). L'avevo giudicata male, lei non è affatto incapace di cambiare (p. 157).
Il percorso di rinascita di Rosa le fa attraversare anche l'essenza del ciliegio:
Il fiore del ciliegio è un fiore potente. La sua bellezza è una maschera. La sua foga e la sua esuberanza simboleggiano l'appetito insaziabile, l'impulso a vivere, il desiderio di provarci o morire (pp.158-159).
Si approda all'acero, cioè all'accogliere tutte le mutazioni in sé. Rosa si sente finalmente a casa, trovando la capacità di donarsi e di accogliere le parole del padre, che le giungono tramite una lettera.
È bene liberarsi dai ricordi de "L'eleganza del riccio" per leggere l'ultima fatica di Muriel Barbery; non vi è traccia di quella ironia o di quel lucido disincanto sulla filosofia e i suoi sofismi. A volte si rimpiange anche quella scrittura netta e priva di lirismo. Tuttavia, Una rosa sola sa riservare un bel crescendo finale, una delicatezza di toni e un messaggio di speranza. Anche dell'autrice, come della sua protagonista, si può senza dubbio affermare che non ha avuto paura delle metamorfosi, sperimentando un altro stile narrativo, senza riproporre quello che tanta fortuna le aveva dato. In questi tempi di ricerca ossessiva del facile plauso della critica e del pubblico, questo "essere bambù ed acero" della Barbery deve essere accolto come un salutare atto di coraggio.