L’invenzione dei corpi
di Pierre Ducrozet
Fazi Editore, aprile 2021
Traduzione di Antonella Conti
pp. 300
€ 17 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)
Questa è una storia di corpi a disagio con loro stessi. Corpi sconnessi. Corpi imperfetti. Corpi accumulati, smembrati, straziati, modificati, potenziati, trasformati, sublimati e smaterializzati. C’è una trama dietro a L’invenzione dei corpi (Fazi Editore) di Pierre Ducrozet, ma si tratta, prima di tutto, della storia del corpo attraverso dimensioni, spazi e temporalità che comunicano tra di loro come le sinapsi artificiali del World Wide Web.
L’invenzione dei corpi si apre con Álvaro Beltrán, professore di informatica della Scuola Rurale di Ayotzinapa (Iguala, Messico) e che si sente «altrove rispetto al proprio corpo» (p. 19). Il corpo di Álvaro viene accatastato in una fossa comune insieme ad altri quarantatré corpi di studenti massacrati dalla polizia collusa coi narcos in un terribile scontro che segnerà per sempre la storia del paese. Sfuggito per miracolo, il corpo traumatizzato di Álvaro non risponde più alla volontà, agli istinti, ai sentimenti, ma unicamente alla necessità fisica di sopravvivere che lo spingerà ad una marcia estenuante per attraversare il confine con gli Stati Uniti, verso San Francisco, per poi approdare alla Silicon Valley, luogo che attira le menti più complesse e distorte del mondo della tecnologia avanzata. Tra multimiliardari, scienziati, informatici e transumanisti, Álvaro si vende come cavia per alcuni esperimenti a Parker Hayes, magnate del web ossessionato dalla ricerca dell’immortalità perché «il suo corpo gli pesa» (p.73), e con il sogno maniacale di creare un’isola artificiale al largo di San Francisco, dove poter coltivare l’utopia di un uomo-macchina potenzialmente eterno che si elevi come nuova rinascita per il futuro del genere umano. Ad affiancare Álvaro negli esperimenti c’è la biologa Adèle Cara, la quale «non è particolarmente affezionata a quella carcassa che si porta in giro» (p. 153) e che ricomincia a sentire il suo corpo solo quando i due scappano dai deliranti progetti di Parker, trasformando la narrazione in una specie di road movie in cui sulla pellicola scorrono scene liriche, estreme, erotiche e intense con i paesaggi degli Stati Uniti e del Messico a fare da sfondo. Nel frattempo, ad Hong Kong Lin Dài vede il suo corpo come «il computer Atari che ha di fronte, come una macchina da anatomizzare, rimontare, misurare; una cassetta degli arnesi» (p. 158) e decide di iniziare la sua transizione di genere, per spingersi poi verso un esperimento che le permetta di espandere la sua mente verso l’infinito. Il vecchio Werner vive invece «nell’immenso vuoto lasciato da suo padre e dall’interminabile corteo di cadaveri sulla sua scia» (p. 171) usciti dai campi di sterminio nazisti, e cerca di ritrovare la connessione con l’immateriale attraverso la tecnologia.
Tanti personaggi che si incontrano, raccontano e scoprono attraverso la collisione improvvisa dei loro corpi seguendo le traiettorie dei tanti fili narrativi creati dall'abilissima penna di Pierre Ducrozet. Nel romanzo di Ducrozet le temporalità si dilatano, il passato remoto viene riletto attraverso le innovazioni tecnologiche del prossimo futuro, facendo del presente un tempo in continuo mutamento, in cui i corpi umani transitano lentamente verso una dimensione che si astrae dalla biologia e si fa unione di carne e macchina, di vasi sanguigni e circuiti elettri, di cortecce cerebrali e intelligenze artificiali. L’invenzione dei corpi esplora tutte queste possibilità attraverso una tenue luce distopica che pervade la trama e che offusca la mente dei personaggi, tutti concentrati su come gestire quella massa informe di carne, ossa e cartilagini che si trovano tra le mani e che imparano a conoscere solo attraverso il filtro della macchina, del computer, del web e delle nuove tecnologie.
Il libro di Ducrozet ci fa capire che viviamo già nell’epoca del postumanesimo, era in cui i progressi dell’informatica e delle biotecnologie sono arrivati irreversibilmente a cambiare la natura umana, messa alla prova dalle sfide della modernità che cerca di smaterializzare i confini tra il corpo umano e il web. Accanto alle infinite possibilità di questa fase della specie umana, i personaggi di Ducrozet ci mostrano i limiti, le fragilità, le problematiche e i pericoli catastrofici che l’unione di materia biologica e tecnologica potrebbe comportare. Il transumanista Parker è la perfetta incarnazione di queste contraddizioni, arrivando a credere che la morte non sia qualcosa di reale, ma pura e semplice ideologia che può essere sconfitta scomponendo il corpo umano per rimontarlo con nuovi pezzi che gli assicurino l’immortalità. Di fronte a questo dilemma, la letteratura di Ducrozet si interroga ossessivamente sui limiti dei corpi che ricrea tra le sue pagine, osservandoli da vicino, sezionandoli e sventrandoli per cercare di intravedere la risposta ai quesiti etici che il postumanesimo e transumanesimo ci pongono oggi. Fino a che limite un corpo può definirsi “umano”? Come si capisce quando l’umano sfocia nel non-umano? Attraverso questi interrogativi che, inizialmente, possono apparire futuristici e lontani da noi, L’invenzione dei corpi racconta cosa significa essere oggi un corpo di carne che vive, soffre e resiste in questo mondo che, lentamente, sta svanendo in tanti piccoli miliardi di byte che vanno a costituire lo spazio cibernetico che ci circonda sempre di più ogni giorno.
Nicola Biasio