di Carmen Pellegrino
La Nave di Teseo, 2021
pp. 240
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«Sono nata triste e non c'è posto in questo mondo per quelli come me» (p. 46)
Che cosa significa vivere accanto ai propri fantasmi del passato? Con La felicità degli altri, la scrittrice Carmen Pellegrino, dopo Cade la terra e Se mi tornassi questa sera accanto, torna a occuparsi di passato e identità, frugando nelle pieghe più polverose di anime abbandonate. Disappartenenza è una parola che incontriamo a pagina 152, ma che potremmo amplificare per tutto il romanzo, perché il suo suono ovattato, quasi un'eco che si fa ritornello incessante, riecheggia di pagina in pagina.
La protagonista, Clotilde, si fa chiamare da tutti Cloe, perché vuole in qualche modo emanciparsi dal nome di sua zia, che le è stato attribuito insieme al suo corpo e a una tristezza endemica, dalla quale è quasi impossibile staccarsi, se non per brevi attimi, che figurano come strappi improvvisi dalla quotidianità. Il ricordo dell'abbandono è uno dei fantasmi che popolano il presente di Cloe, così come il senso di colpa per non essere riuscita a evitare l'inevitabile con suo fratello Emanuel. Tutti sembrano scomparire, abbandonare Cloe proprio come ha fatto sua madre, lasciandola sola. Eppure, qualcuno si è fermato, ha raccolto la solitudine di una bambina lasciata a sé stessa: sono stati il Generale e Madame, due personaggi che hanno creato la Casa dei timidi. Lì i due hanno aiutato tanti bambini abbandonati a ricomporre le proprie ferite, ma un terribile incendio infrange la speranza della protagonista di aver finalmente trovato un nido dove fermarsi. Di nuovo, per Cloe è tempo di ricominciare, di partire e di rimettersi a contare solo e unicamente su se stessa («Sei crudele con te stessa, con l'unica persona che non ti ha mai abbandonata», le ricorderà l'amica Angela a p. 95).
Al contrario di quanto potremmo immaginare, la formazione di Cloe avviene tardi, a partire dalla maggiore età, e si prolunga lontano, oltre i trent'anni: la protagonista prova a trovare sé stessa, a rimarginare le ferite del passato, ma come le ricorderà il professor T., che incontra all'Università di Venezia, «siamo viandanti nell'oscurità, ogni vita è qualcosa che non si potrà mai afferrare del tutto» (p. 107). Cloe è arrivata lì in seguito a un matrimonio brevissimo e deludente, poi capisce che deve a tutti gli effetti ripartire da sé, ma non è semplice costruire qualcosa per chi è avvezzo alla fuga («Mi sono addestrata alla fuga, non so fare altro», p. 149).
Eppure noi lettori aspettiamo e confidiamo in un far pace con il passato, lo speriamo per questa protagonista che ci si mostra senza riserve, di cui leggiamo tutte le cicatrici. Speriamo che un giorno la sua filosofia di vita «se non ti piace quello che ti stanno facendo, guarda altrove» (p. 26) trovi una svolta e una pacificazione.
Potremmo interpretare La felicità degli altri come la storia di un'esistenza infelice, ma sarebbe riduttivo: la narrazione vira spesso verso frammenti onirici e dialoghi dal gusto lirico ed evanescente. Non è tanto la verosimiglianza che sembra voler perseguire l'autrice, quanto un dialogo inesausto ed elegante con la mitologia e con la poesia, già a partire dal titolo (che si rifà a Raboni). Chi è alla ricerca di un romanzo con una trama e una struttura lineari resterà sicuramente spaesato e forse insoddisfatto, perché questo non è un libro tradizionale: il suo procedere per frammenti, che talvolta si fanno visioni, chiede al lettore lo sforzo di ricostruire la storia a posteriori, risistemando le tessere di un puzzle complesso e dai colori sfumati. Affascina sempre la ricerca lessicale di Carmen Pellegrino, che fin dalle primissime pagine del romanzo avverte il lettore: siamo davanti a un libro che vuole farsi anastilosi, per «rimettere insieme i pezzi originali del tuo edificio distrutto, elemento per elemento, se le condizioni lo consentiranno» (p. 10).
GMGhioni