Contare le sedie
di Ester Armanino
Einaudi, aprile 2021
pp. 176
18,00 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)
Era come tastare tutto ciò che mi accadeva, passare le dita sulle cose lisce, soffermarmi sulle crepe. (ebook)
Per la maggior parte del suo nuovo romanzo, Contare le sedie, Ester Armanino parla di crepe. Crepe che si allargano, piccole voragini meta-letterarie, fino al lettore. Una sensazione di incrinato, leso, danneggiato. Una delle voci femminili che danno forma al romanzo conta le sedie per passare il tempo, per far scorrere più veloce un momento complesso, per evitare una perdita inevitabile. Conta le sedie mentre attende ed esse rimangono in attesa insieme a lei. Silenti amiche monofunzionali a forma di L.
Questa voce femminile è univoca e molteplice. Talvolta, è quella di una figlia amorevole nei confronti di un padre con cui condivide una passione, di una studentessa con una cotta per il compagno più grande da cui prende ripetizioni, di una serie di donne ciarliere, in cerca di conforto, in attesa di operazioni che andranno a modificare quel loro essere donne così come sono. Sono proprio le attese che uniscono le parole in questo racconto, parole che sembrano restie a trovare una dimensione unitaria, «le parole che mi erano rimaste sotto le unghie». Un romanzo frammentario e senza un’apparente direzione precisa. Un puzzle di voci debolmente correlate tra loro, eppure che si avvertono in un costante movimento simbiotico; come la fine di un amore o l’onda irrequieta del Mar Ligure che fa cadere dalla tavola da surf la giovane principiante. Ma che cosa lascia questo puzzle di emozioni e individui (e, forse, di ricordi)?
Il libro di Armanino è come i tagli e i buchi di Fontana; in apparenza freddo, semplice, informe, ma anche entropico ed estremamente contemporaneo. È come la zia dal soprannome stravagante di cui l’io narrante racconta e che ama follemente l’opera di Puccini. Lei è tutte le sue eroine, più se stessa; dentro, le riunisce tutte. Una zia Mame decisamente meno chiassosa e irrequieta, ma pur sempre una personalità che spicca tra le forme sbiadite dell’intreccio. Uno spirito devoto a ciò che ama, l’atteggiamento senza filtri, di costante nonchalance.
Gli amori sono ostacoli in questo libro. Pare che nessuno rimanga o, meglio, che le voci femminili evitino che loro e gli altri si sentano troppo confortevoli nei propri sentimenti, rifuggendo l’abbandono all’affetto altrui, il vulnerabile, l’instabile. Emerge come protagonista un io femminile vacillante, che cammina per la vita in punta di piedi. Dona ispirazione questo io senza meta e senza contorno? Non proprio. Riesce il lettore a ritrovarsi in questa voce multiforme? Forse. Perché è intrinseco dell’essere umano dubitare costantemente di se stesso. Anche il più strutturato degli individui si guarda allo specchio e, per un istante, si biasima per com’è.
«E vado avanti, camminando tra le cose spaccate, si deve sempre andare avanti» (ebook). Non è infine questo il punto? Andare avanti e basta. Cercare il modo di rimanere a galla senza farsi inghiottire. Le spaccature di cui parla Armanino fungono da trait d’union per i lettori di questo libro. Si tenta di ripararle al meglio, cercando di non soccombere all’incertezza, all’incomprensione del destino e di sé.
È complesso trovare quindi un senso unitario al romanzo di Armanino, ma forse è proprio questo che deve trasmettere il vociare multidirezionale delle sue narratrici, che sono una, nessuna e centomila. Siamo ossessionati dalla ricerca di senso, un balsamo per una condizione innata di perenne esitazione.
Ma alla fine, spesso, le risposte sono poche e le domande sono troppe. Armanino attende, contando le sedie. Una a una le scorre nella sua mente e il tempo fa altrettanto e la vita con esse.
Lucrezia Bivona