Forse ci ritroveremo
di E. Lockhart
di E. Lockhart
DeA, 2021
Titolo originale: Again Again
Traduzione di Valentina Zaffagnini
pp. 302
€ 15,90 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
€ 15,90 (cartaceo)
Non è una ragazza comune, Adelaide Buchwald. È contraddittoria, tormentata, radicalmente infelice, anche se esibisce al mondo il volto di una persona brillante, vivace e sempre appagata, spesso mentendo sulle sue difficoltà personali e scolastiche:
fu proprio in quelle lettere che cominciò a delinearsi la prima versione del personaggio vivace e ciarliero di Adelaide. […] E scoprì che rivestendo se stessa di vivacità, indossandola come una giacca di strass, poteva alleviare un po’ della propria sofferenza. (71)
È il terzo giorno d’estate dopo la fine del terzo anno di
superiori e per lei si prospetta una lunga estate da trascorrere, col padre,
nel campus deserto del liceo privato di Alabaster che frequenta, e dove lui
insegna. La famiglia è spezzata, perché la madre è rimasta a Baltimora per
accudire il fratello minore ufficialmente malato, in realtà in clinica per
disintossicarsi, e come se non bastasse è appena stata lasciata dal suo primo
amore, Mickey Doppia Elle. Per tenersi occupata ha accettato un lavoretto come
dog-sitter ed è proprio mentre si trova al parco in compagnia di cinque cani
dai nomi buffi e dalle spiccate personalità che incontra Jack. E Jack è
particolare, bellissimo, totalmente diverso da qualsiasi altro ragazzo. Si erano
già visti una volta in passato, ma a lei sembra piuttosto di averlo già
conosciuto in un’altra vita, riconosce
una predestinazione in questo ritrovarsi.
Gli ingredienti del romanzo young
adult ci sono tutti e questo del resto si potrebbe legittimamente aspettare
chi conosce E. Lockhart, autrice di bestseller come L’estate dei segreti perduti. Forse
ci ritroveremo, invece, nella sua evoluzione spiazza ogni aspettativa, a partire dalla presenza di una voce narrante lieve e talvolta ironica
che accompagna l’agire dei personaggi, o ancora dalla prosa frammentata, a tratti ritmata come un testo poetico o una
canzone, e ricca di dialoghi e di elementi che interrompono il regolare scorrere
del testo. Quella che viene proposta è una narrazione dal taglio molto cinematografico, di cui si può facilmente immaginare
una trasposizione filmica e che presenta almeno due pregi evidenti: intanto inizia come una storia d’amore, ma non lo è,
o quantomeno non solo e non del tutto. Inoltre, a differenza di quanto avviene
con molti romanzi young adult, non si
riesce a capire fin da subito, neanche approssimativamente, quale sarà
l’evoluzione della storia.
La sottotrama del
multiverso, esplicitamente introdotta con il pretesto di un seminario
filosofico estivo che viene organizzato nel campus, crea infatti un senso di aspettativa e di
imprevedibilità: “deve esserci un
altro mondo possibile per ogni modo in cui la nostra vita avrebbe potuto
essere, ma non è” (42). Cosa accade allora se si prova a mettere sulla
pagina questa sequela di possibilità alternative? Accade il romanzo di Emily
Lockhart, che non a caso nell’edizione originale titola Again Again. Perché ogni scena può essere riscritta in modi
potenzialmente innumerevoli, a creare un reticolo di vite non vissute in questo mondo, in questo presente. Il fluire
dell’esistenza, come quello del romanzo, è legato a una successione di scelte:
basta cambiare una singola variabile,
perché si spalanchino scenari diversi. E di questo, che è il criterio strutturale e innovativo dell’opera, ha percezione anche
la protagonista, pur senza saperselo spiegare bene:
E ho come l’impressione di vedere unfuturo con Jack, e vedo unpassato con lui,versioni diverse del passato che non sono mai esistite. Le vedo, sotto forma di ricordi. (p. 231)
In questo senso, ogni tragedia, ogni successo, le scelte giuste o sbagliate
assumono un valore relativo, perché esiste sempre quell’“e se?” dubitativo, o potenziale, che normalmente rimane
inespresso e qui invece viene tradotto in elemento della trama. Certo è che
l’autrice tenta un’operazione ardita: quella di decostruire tutte le aspettative legate al genere, di forzare il
concetto di lieto fine, di abbattere lo stereotipo dell’anima gemella, o
dell’unico grande amore.
Mentre fa questo, non manca tuttavia di prestare grande attenzione all’analisi psicologica
della protagonista. Adelaide è infatti prigioniera
del proprio malessere, delle proprie paure: di non essere amata, che il
fratello abbia una ricaduta, di non essere all’altezza... Anche per questo
tende a piegare a sé e a guardare in chiave non sempre oggettiva ciò che la
circonda: la sua relazione con Jack, che idealizza e rilegge in funzione delle
sue aspettative (“Mi guardi come se fossi
un oggetto e mi parli come se non mi vedessi affatto. Le idee che ti sei fatta
su di me non sono reali. Mi ascolti? Te le sei inventate... [...] Non posso
risolvere la tua infelicità, oltre alla mia”, p. 188, le dice a un tratto
il ragazzo), il suo rapporto guastato e da ricreare col fratello Toby, o il suo
progetto di scenografia da completare entro l’estate per non perdere l’anno (“Non è funzionale all’opera. [...] Qui dentro
c’è molta Adelaide Buchwald, e nessun Sam Shepard”, p. 228, commenta la sua
insegnante). Attraverso il romanzo, si esplorano
le tappe di una presa di coscienza, che è progressiva e necessariamente non
risolta, visto che lungo è il percorso di crescita e molteplici le vie che
si possono intraprendere.
La cosa più importante per la protagonista è riappacificarsi con se stessa,
imparare ad accettarsi invece che indossare una maschera per compiacere gli
altri. In questa realizzazione di senso, un ruolo determinante è giocato
dall’arte: quella che Adelaide può osservare nel padiglione del campus dedicato
alle esposizioni contemporanee, quella poliforme che produce Jack per cercare di
mostrare la varietà del reale, quella stessa che lei riesce a portare nel
proprio compito, anche se col rischio di violarne le consegne. L’Arte parla alla vita: è bellezza da
contemplare, impulso a immaginare e a realizzare
ciò che ancora non esiste. Nell’elaborazione artistica si può creare quello che
nell’esistenza non è dato, materializzare
il possibile. E questo capita in tutti i mondi, pertanto si fa
metafora stessa del processo di composizione del romanzo e suo inevitabile
punto di approdo. Forse ci ritroveremo
è un’opera non comune come i suoi personaggi, che arriva a una conclusione che
non è quella che ci si potrebbe aspettare e che sarebbe interessante leggere in
lingua per valorizzarne ancora di più la ricerca stilistica. Resta da capire
quale effetto possa avere sul target dei lettori la specificità della forma
narrativa e la nuova prospettiva dell’autrice sulle relazioni sentimentali.
Carolina Pernigo
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