Doris, la ragazza misto seta
di Irmgard Keun
L'Orma editore, novembre 2017
Traduzione di Vincenzo Gallico
pp. 200
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ora mi sono comprata un quadernone tutto nero e sopra ci ho appiccicato delle colombe ritagliate. Vorrei che questo fosse l'inizio: «Allora, io sono Doris, sono battezzata e cristiana e tutto quanto. E soprattutto sono qui. Siamo nel 1931». (p. 10)
Doris vive l'inizio degli anni Trenta in Germania. È giovane, molto carina, con un lavoro noioso e un potenziale di sex appeal che sa di dover utilizzare. Non viene da una famiglia ricca, le sue condizioni sono spesso precarie e se non c'è un uomo che le offre da bere o una fetta di torta, deve tirare la cinghia e risparmiare sul pranzo. Ma Doris non si accontenta: lei vuole essere una stella. Che cosa questa condizione includa – sfondare nel mondo del teatro o del cinema, trovare un amante ricco, qualcuno che la ami o anche solo un bel pellicciotto che la tenga al caldo – non è ben chiaro: perché la verve con cui Doris si esprime, le allegre bugie con le quali millanta relazioni con uomini importanti e le disincantate considerazioni sulla sua bellezza e il giudizio verso le altre donne sono una brillante copertura per una situazione di solitudine e di disperato bisogno di appartenenza.
Scrittrice di acuta osservazione sociale e una certa vena ironica, Irmgard Keun ha goduto del picco di fama negli anni Trenta quando i suoi romanzi Gilgi, una di noi e La ragazza misto seta vennero messi al bando dalle autorità del partito nazionalsocialista. Arrestata, poi costretta all'esilio, ha vissuto sotto copertura e nonostante il lavoro di una vita come scrittrice e giornalista, le sue opere successive sono passate sotto silenzio. Di lei si ricorda la relazione sentimentale con Joseph Roth, ma vista la sua voce narrativa e il relativo oblio patito negli anni, dispiacerebbe ridurre il suo ruolo a "compagna di".
Doris, così come Irmgard Keun, lavora come dattilografa presso uno studio di avvocatura. Non ha una formazione scolastica e deve solo battere a macchina delle noiose istanze e fare attenzione a ogni virgola altrimenti il capo – al quale non dispiacerebbe metterle le mani addosso – le fa rifare tutto. Prende uno stipendio misero e ne deve passare una buona parte al padre ubriacone. Doris quindi, che sa di essere destinata a qualcosa di più grande, decide di scrivere di sé e delle proprie avventure, affastellando le informazioni, seguendo il proprio personale flusso di coscienza senza doversi preoccupare ogni minuto delle maledette virgole. Così la seguiamo nelle sue avventure, nel suo tentativo di darsi al teatro – millantando una relazione con l'impresario per darsi un tono – e della sua fuga a Berlino, città luccicante e che lei non può fare a meno di amare, ma difficile e che la porterà a toccare alcuni punti molto bassi della propria esistenza. Sarà sempre alla ricerca dell'amore, o forse di avventura, di soldi; non è ben chiaro che cosa voglia Doris. Ma la sua infruttuosa e non ben definita ricerca è narrata con talmente tanta brillante spavalderia da perdonarle ogni cosa.
La mia vita è come un film e lo sarà sempre di più, ed è così che la voglio scrivere. (p. 8)
Doris sembra incarnare la figura della flapper per come siamo abituati a pensarla oltreoceano: frivola, brillante, piena di voglia di ballare, con un drink in mano e alla costante ricerca di un uomo che la supporti, almeno per un po'. Doris balla, ammicca e flirta, giudica con una certa superiorità la sua amica Therese che perde tempo dietro un uomo sposato e che ha ormai sciupato gli anni della sua giovinezza, si sposta a una velocità vertiginosa tra pagine e uomini. Questo affastellarsi di eventi, questa energia spumeggiante, per quanto divertente in alcune parti, suona quasi come l'isterica risata di chi ha appena subito un lutto o un evento traumatico: un modo per non pensare, per nascondere anche a se stessa che lei ha già sofferto per amore, è stata abbandonata da tutti e non ha nessun modo per costruirsi una propria indipendenza se non quello di sfruttare le proprie gambe lunghe e la sua capacità di lanciare occhiate ammalianti. E di questo ne è ben consapevole.
«L'amore non è un affare» dice lui.«Le ragazze carine sono un affare» dico io. (p. 103)
Nella Germania del 1931 inizia a emergere la questione della razza; alcuni uomini le pongono delle domande quando la vedono con i capelli scuri e arricciati e prima di andare con lei vogliono essere sicuri che il suo sangue non sia impuro. Lei ridicolizza questa posizione: finge di essere ebrea, racconta di come suo padre si sia slogato la caviglia in sinagoga perché sa bene che un uomo andrebbe con lei anche se il suo sangue non fosse perfetto, a dispetto di quanto dichiarato.
Prima ti riempiono di complimenti e ti strappano braccia e gambe e chissà cos'altro, poi gli dici – che so? – «Sono una castagna» e quelli spalancano la bocca: «Oddio, una castagna? Ma io non lo sapevo». Eppure sei la stessa di prima, però dopo quella parola di fatto sei cambiata. (p. 43)
Nessuna sorpresa che questa posizione insieme alla "dissolutezza" dei costumi di Doris siano state considerate nocive e inopportune dal regime e che la sua lettura sia stata proibita.
Ogni tanto, Doris incappa in uomini per bene che lei mortifica sempre con soprannomi ingenerosi per evitare di affezionarsi, ma, nonostante il suo desiderio di essere una stella, lei fa onore al titolo: è come un vestito misto seta, di quelli che si stropicciano subito non appena si viene abbracciati e baciati; di quelli che non tornano mai in forma e che anche se si possono mescolare per un po' nella alte sfere con l'uso di piccoli trucchi come il non parlare il dialetto o lasciar cadere nella conversazione qualche parola di francese – lingua che lei non parla, ma con il suo «c'est ça olalà» riesce a mettere nel sacco gli uomini – saranno destinati a una sorte meno scintillante di quanto la protagonista desideri.
Giulia Pretta