Microfictions. Vol. 2
di Régis Jauffret
Edizioni Clichy, maggio 2021
Traduzione di Tommaso Gurrieri con Anna Isabella Squarzina
pp. 1024
€ 25,00 (cartaceo)
Compresa tra le sei e le mille parole, la micronarrativa è una forma di scrittura che non dà scampo al lettore. Precisa e incalzante, pretende che ci si immerga tra le sue righe, si dia peso e valore anche alle virgole e agli spazi bianchi, e in poche parole è in grado di costruire archi narrativi e conflitti che non lasciano spazio all'incertezza. Se in un romanzo una frase sbagliata non intacca il valore dell'opera, nella micronarrativa anche solo la scelta di un lemma può indirizzare il racconto in una precisa direzione e cambiare completamente il senso, quand'anche non far fallire l'intento narrativo.
Queste considerazioni stringate che sono valide per il genere narrativo sono ben chiare a Régis Jauffret, che nelle sue Microfictions mira a rappresentare quanto di più abietto e disgustoso si annida nell'animo umano: lo fa con una precisa dichiarazione d'intenti, un lessico che scende nella volgarità più spinta ma mai fuori luogo, e con un elenco di temi che girano intorno all'essere umano e alle sue relazioni e che non sembrano consentire nessuno squarcio di speranza.
Uscito da poche settimane per edizioni Clichy, questo volume riporta la dicitura di "secondo" anche se in realtà i racconti che compongono la raccolta sono stati scritti prima delle Microfictions, che qui in Italia sono uscite nel 2019 sempre per lo stesso editore. Tra le due raccolte si riconoscono punti di contatto. Entrambi i volumi sono composti da cinquecento racconti di una pagina e mezza ciascuno; sono tutti scritti in prima persona – sia singolare che plurale –, con qualche "tu" narrativo a spezzare il ritmo; sono racconti violenti e corrosivi sulla bassezza dell'animo umano e su temi quali i rapporti di coppia, la genitorialità, la violenza contro le donne e la letteratura. Ma se nella raccolta del 2019 troviamo narrazioni a proposito della letteratura che non dà né realizzazione personale né tangibile successo ai personaggi – come nel caso del racconto Alle spalle della lingua francese – nella raccolta del 2020 ci troviamo di fronte a quello che parrebbe essere il manifesto letterario dell'autore.
Sono uno scrittore pericoloso, la mia produzione è malefica, nociva, il veleno che racchiudono i miei libri uccide i lettori, e durante la loro breve agonia questi hanno il tempo di far diventare chi li circonda pazzo, infermo, incapace di provare gioia di vivere per l'eternità. Basta una riga, e la dose è già letale. (Benefica censura p. 75)
Oltre alla dichiarazione d'intenti netta che troviamo in Benefica censura, non mancano i riferimenti alla scrittura in racconto come Il supplizio di Tantalo oppure Il terribile bastone dello stile o ancora Zoo dove la letteratura e la scrittura sono, nel migliore dei casi, la realizzazione di testi destinati al macero, nel peggiore
Sofferenza e vomito. La letteratura è la quintessenza del pensiero e del dolore degli uomini. (Il terribile bastone dello stile p. 361),
dove anche gli strumenti dello scrittore, la macchina da scrivere, la penna d'oca e l'inchiostro, sono strumenti che bruciano e straziano le carni e la mente di chi è così scellerato da intraprendere la via dell'arte.
Le Microfictions sono dei piccoli spaccati dell'umanità, ma non raccontano mai di situazioni ed eventi in cui è facile riconoscersi: portano sempre tutto all'estremo, salendo le vette del grottesco e talvolta dell'impossibile. Così in Alzheimer insonorizzato, un uomo malato si vede rinchiudere dalla moglie nel sottoscala e nutrire con cibo buttato giù da un lucernario fino a che i suoi stessi escrementi non lo ricoprono e dimentica anche il suo nome; in La Borghesia Bardolese una madre si compiace che i figli la desiderino e la obblighino a rapporti sessuali nonostante un lieve perbenismo le faccia considerare l'incesto come un tabù; o in Lexotan dove una madre droga la figlia per non farle avere contatti con altri al di fuori di lei; o in Violentato da un pazzo dove un novantenne subisce uno stupro da un rapinatore che viene poi salutato dai vicini convinti che fosse il figlio di uno degli inquilini del palazzo.
Le Microfictions non raccontano situazioni comuni, ma sono portate così all'estremo da fare quasi il giro e diventare episodi che non abbiamo difficoltà a pensare di leggere nella cronaca nera di qualunque città del mondo.
Nulla è sacro, niente di salva. Non il rapporto di coppia che è quasi sempre legato alla sopraffazione sessuale da parte di uno dei due o di entrambi i componenti della coppia. Quando anche si scorge un accenno di normalità, questa viene liquidata come avviene in La banalità della vita dove ci si prende gioco delle abitudini di coppia che in un'altra ottica potrebbero apparire come teneri rituali – "Al mattino, ci scambiavamo le fette biscottate dopo averle imburrate" (p. 431) – ma che qui sono solo i preliminari per l'abbandono. Oppure si dipinge una perfezione stucchevole come in L'ostinata felicità degli altri dove l'intento provocatorio è buttato in faccia al lettore che è portato a giudicare qualunque cosa con il metro dell'io narrante.
Nemmeno la genitorialità e l'infanzia sono risparmiati. Oltre alle grottesche violenze – sia da parte delle persone che della società come nel caso di Bambina schiacciata in cui una bambina di quattro anni viene schiacciata a morte da un ascensore e tutti i vicini le addossano le colpe dandole della subdola e dell'adescatrice perché tanto "perdono la verginità sempre più giovani" (p. 66) – ci troviamo di fronte all'amore tossico. Quando anche c'è affetto, questo sconfina sempre nella violenza e nell'incesto come nel caso di Come una bambolina o Nel bosco degli angeli.
Verrebbe da chiedersi se ci sia un limite alla malvagità, allo scavo nei nostri sentimenti più abietti e negli angoli della nostra mente dove non vogliamo e non possiamo guardare. Queste continue prime persone narrative, sfaccettature infinite, non lasciano angoli dove nascondersi e non garantiscono nessuna sicurezza. Nel momento in cui si dà voce ad Adolf Hitler in Hitler Jugend e quando si dichiara che "all'inferno non c'è nessuno" (p. 295) come si può pensare di porsi un freno? Se la malvagità è già stata perdonata, a che pro preoccuparsi di non commetterla e riconoscerla?
Certo, possiamo anche illuderci e pensare che tutto questo orrore non ci riguardi, che gli "io" siano altro da noi, ma l'autore ci toglie anche quest'ultimo dubbio e debole riparo che cerchiamo di costruirci.
Quando ho ucciso la mia compagna per dimostrare a me stesso che potevo ottenere lo status di assassino, gli esperti hanno decretato che ero un minus habens. Mentre la mia vita da disgraziato dimostra al contrario che sono sano di mente quanto voi e me. (Lo status di assassino p. 534)
E ancora
Tutti hanno ucciso qualcuno prima o poi. Per colpa tua, tua madre è morta di dolore, tuo padre di vergona, e tua moglie di preoccupazione quando te ne sei andato di casa per trent'anni a sbatterti in mezzo all'Oceano Artico senza aver visto gli orsi che ti sognavi da quando avevi diciotto anni come tettone bianche. (La vita è un crimine punibile con la morte p. 497)
Perché allora sfogliamo i racconti? Perché una volta entrati nelle Microfictions non riusciamo più a smettere di girare pagina dopo pagina? Due possono essere i motivi. Il primo è dato dall'orrorifica fascinazione per il male, quella che ci spinge a cercare i dettagli più truculenti quando leggiamo di un macabro fatto di cronaca. Non ci fa onore, non ci va di ammetterlo, ma questi racconti ci mettono di fronte al nostro io più abietto. La seconda ragione è la speranza. Speriamo che, come per Pandora, in fondo a questo vaso di orrori ci sia un flebile alito di speranza. Lo cerchiamo racconto dopo racconto e, forse, alla fine finiamo anche per convincerci di averlo trovato fino a che Storie sfrenate non ci dà il colpo di grazia.
Fuori dalla narrazione non vi è salvezza. (p. 851)
Ma nonostante tutto continuiamo a cercarla e nella splendida scrittura di Régis Jauffret troviamo la materializzazione di uno dei compiti della scrittura: quello di emozionare il lettore. Nessuno ha però detto che queste emozioni debbano per forza essere positive.
Giulia Pretta
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