Rendere semplice e invisibile una struttura articolata e congegnata come un ingranaggio, fare apparire fluida e naturale una scrittura che è invece frutto di un paziente labor limae: questo è per me la cifra di un romanzo che ambisce a essere letto ben oltre l’iniziale curiosità e pubblicità sui social e nei giornali. Ho trovato entrambe queste caratteristiche in Loro, il nuovo romanzo di Roberto Cotroneo edito da Neri Pozza.
Il romanzo narra la storia di Margherita B., assunta come istitutrice presso la famiglia aristocratica Ordelaffi, per prendersi cura di due splendide gemelle (loro?) Lavinia e Lucrezia. La gioia e lo sfavillio della vita sfarzosa in una villa ultramoderna viene ben presto incrinata da segnali di inquietudine, sempre più incombenti, fino a quando appaiono Loro: due presenze, i fantasmi di un padre e un figlio, che avevano precedentemente vissuto nella villa. Ben presto Margherita scopre esservi un legame tra Loro (fantasmi) e loro (gemelle), oltre che con la figura inquietante di Gaetano, il giardiniere.
«Loro chi?» chiesi. «Loro» ripeté Lavinia. «Li hai visti anche tu». «Ma chi sono loro?» domandai. «Chiedilo a Gaetano, lui lo sa» rispose. «Gaetano?» Lucrezia disse solo: «Lui è come loro». (p. 162).
Le gemelle hanno il potere di evocare e controllare queste presenze, così come esercitano un qualche dominio sullo stato emotivo della madre Alessandra. Anzi, il narratore si spinge ad affermare che gli occhi delle gemelle generavano il male. Margherita prova a tenere, finché possibile, stretto il timone della sua razionalità, si aggrappa ad essa. Vuole capire, vuole spiegare e spiegarci.
Per questo ho deciso fin da subito di non avere prudenze e di raccontarvi quello che penso sia avvenuto. Vi chiedo scusa se alle volte riferisco sensazioni, sguardi fugaci, espressioni che non sarebbero da considerarsi strane, se non fosse accaduto quello che poi accadde. Questa è, però, una storia dove la linea che divide il reale dall’irrazionale non è soltanto sottile, ma indistinguibile (p. 108).
Qui abbiamo la prima stratificazione della struttura del romanzo: abbiamo due livelli di narrazione. Il narratore 1 ci informa di avere ricevuto da Margherita B. un testo, accompagnato da una lettera, in cui raccontava gli eventi terribili accaduti nell’estate del 2018. “Naturalmente un manoscritto”, ho commentato fra me, conoscendo la frequentazione di Cotroneo con i testi di Umberto Eco. Naturalmente, Eco (ne Il nome della rosa, n.d.a.) citava sua volta Manzoni, con il suo celeberrimo manoscritto del ‘600. In Loro, mi è anche venuto da pensare al diario di Zeno Cosini, stratagemma con cui Svevo ha anche instillato nel lettore la serpe del dubbio. Perché, se è vero che la tecnica dell’inscatolamento di una narrazione dentro l’altra dona una maggiore distanza, due piani di verità, in Loro, questa tecnica prelude al capovolgimento finale, quando la parola torna al narratore 1. Ovviamente non mi è lecito dire di più, per non rovinare l’effetto sorpresa di tale capovolgimento. Vi è poi un’altra stratificazione in questo romanzo, gestita con maestria: quella temporale. Vi è un uso costante della prolessi; il testo è costellato di anticipazioni che sembrano porte socchiuse: ci fanno intravedere, indovinare ipotesi, ma soprattutto ci mettono addosso un senso diffuso di turbamento. A p. 32 siamo già avvisati che Margherita lascerà la villa («quando fuggii dalla villa») a p. 9 eravamo già stati messi al corrente che la narratrice si trova nel presente in Australia, dove ha ripreso gli studi interrotti. L’impressione è che Roberto Cotroneo abbia scelto di comunicare l’orrore attraverso la struttura (anche lo sdoppiamento dei narratori ha avuto alla fine un effetto straniante, un senso di vertigine) piuttosto che attraverso l’uso di una lingua oscura. Anzi, analogamente alle pareti della villa, in vetro, trasparenti, che rendono visibile tutto, anche la scrittura di Loro è nitida, precisa, senza sbavature. La paura, in tal modo, non sembra affidata ad una spinta irrazionale, ma conficcata nel cuore stesso dell’Ordine. È una lingua bella, lineare ma colta, senza fronzoli e senza la spasmodica ricerca di essere evocativa.
Rientriamo, quindi, dentro la narrazione di Margherita, nel suo diario sorprendentemente lucido. Nel giardino della villa, si trova un tempietto dedicato ad Ecate. Ben presto risulterà evidente che questo luogo è legato indissolubilmente a Loro. Qui appaiono e attraggono con la loro presenza silenziosa e incombente. Il giardino , ciò che sta fuori dalla villa e oltre il filtro delle sue pareti trasparenti, è il luogo dell’Altro, del Caos, dell’incomprensibile. Gaetano appare il genius loci di questo Altrove o, meglio, il ponte fra il visibile e l’invisibile:
Sul lato opposto del giardino, Gaetano lavorava come sempre, anche se era quasi buio. Era il suo modo di controllarci, forse di prendere ordini. Restare lí, era chiaro, non dipendeva dalla sua volontà, ma da altri che glielo chiedevano. Altri che ancora non si erano palesati (p. 107).
Signora Margherita, se non ve lo ha detto il signor Umberto, perché lo chiedete a me?» «Perché ho paura» risposi, e lo feci con tutta la sincerità che potevo mettere in quelle poche parole. Angelina si voltò, era pallida: «Li avete visti?» Non ebbi remore: «Sí, piú di una volta». «Ossantiddio» mormorò, «povera donna. A me non è mai successo, ma lo so. Lo so che appaiono. Quel ragazzo poi (p. 120) .
Tante, tantissime affinità con Giro di vite, archetipo che il romanzo di Cotroneo evoca senza infingimenti, fino a nominare “William James” il professore che riceverà il memoriale di Margherita, salvo poi precisare che
Per quanto possa apparire degno di un romanzo di Henry James, è solo una omonimia e una coincidenza che il professor William James porti il nome del fratello di Henry James, che peraltro insegnava a Harvard, e che cento anni prima pubblicò un saggio con lo stesso titolo del volume del professore a cui è stato chiesto un consulto: The Principles of Psychology. James, va detto, è un cognome assai diffuso negli Stati Uniti (p. 189).
Ma a quel punto, il lettore è già sbalordito dal colpo di scena, ha smarrito la consapevolezza di quale sia il vero e quale la finzione, e il gioco di rimandi moltiplica questo suo smarrimento. Del resto di rimandi ed echi ve ne sono tanti altri (perfino alla Ballata n. 4 di Chopin che aveva animato le pagine di Presto fuoco, primo romanzo di Cotroneo). Tuttavia, oltre il gotico, oltre il gioco intellettuale di cogliere rimandi e incastri, vi è un altra quinta, che fa da sfondo alla narrazione di Loro.
«Loro cosa vogliono da voi?» chiesi. Fu questa la domanda che non dovevo fare, che mi ha rivelato il male: il male del mondo. La tenebra che cerchiamo di non vedere, di non capire, ma che ci raggiunge sempre, è fatta di questo, di questa materia sfuggente, di queste antiche credenze, di queste divinità antichissime che ancora sfidano le religioni moderne, le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. E ci sono e ci imprigionano, e ci tolgono la ragione» (p. 163).
Skrjabin contro Mozart, il Mistero che forse è il sacro e l’ignoto o forse è il baratro in cui Margherita è caduta. Ogni grande romanzo gotico, del resto, ci ha insegnato che l’orrore non sono i mostri o gli zombie, ma l’abisso dentro ogni uomo.