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"Senza cerniera": la scrittura, il femminismo, l'ipocrisia della società statunitense. Erica Jong senza filtri

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Senza cerniera. La mia vita
di Erica Jong
Bompiani, 2021

Traduzione di Marisa Caramella

pp. 320
€ 18 (cartaceo), € 11,99




Ho sempre avuto un debole per Erica Jong: appartiene a una generazione di femministe precedente alla mia, la lettura dei suoi libri è avvenuta quando la sua zipless era già ben nota e radicata e sicuramente ci sono state altre scrittrici e intellettuali con cui identificarsi. Eppure Erica Jong mi ha sempre affascinato. La ragione credo sia molto semplice, si riassume in una parola: libertà. Si può essere d’accordo o meno con quanto esprime, i suoi romanzi possono piacerci oppure no, ma di certo Jong ha sempre dimostrato di non volersi allineare a tutti i costi, preferendo alle tendenze – sì, anche il pensiero femminista segue delle tendenze o correnti che dir si voglia – la libertà di esprimersi. Senza filtri, ovviamente. Rinunciando a piacere a tutti quanti – e già questa che grande lezione di libertà! – e, in un’epoca in cui per essere una “buona femminista” dovevi odiare gli uomini e ogni sorta di abbellimento anche quando scelto liberamente, Erica Jong spazzava via ogni preconcetto. Bionda, bella, seducente, ironica e vivace, ama gli uomini e non ne fa un mistero né una colpa; scrive, poesie e romanzi, in una commistione fra vita e letteratura che la perseguiterà per sempre, racconta il desiderio femminile osando perfino in anni recenti esplorare l’ultimo tabù, ossia la vecchiaia – femminile, ovviamente, perché solo a noi a quanto pare non è concesso invecchiare. Si sposa quattro volte, vende molti libri e guadagna tantissimo, insegna in numerosi corsi di scrittura, fa una figlia, continua a scrivere e far sentire la propria voce. Viaggia, osserva, si confronta con la realtà e i tempi che cambiano, abbracciando alcune nuove istanze del pensiero femminista, ma sempre con sguardo consapevole e peculiare. 
Ho avuto il piacere di dialogare con lei un paio di anni fa e ho avuto conferma di quanto intuito nella lettura dei suoi testi, a partire da Paura di volare, il romanzo che l’ha resa celebre, quell’idea di libertà cui si accennava, e una carica vitale, una curiosità che non si sono mai esaurite negli anni, come dimostrato anche dall’ultima pubblicazione sulla quale ci siamo confrontate Fear of dying (e se leggete il pezzo capite perché ho lasciato il titolo originale del libro).

Ho accolto quindi con particolare interesse e curiosità la recente pubblicazione di un nuovo libro, perché a settantanove anni sono convinta Jong abbia ancora molto da dire, non soltanto alle femministe della sua generazione ma anche alle più giovani. Senza cerniera, che richiama il suo libro più celebre, è un memoir, non convenzionale e, lo dico subito, non pienamente riuscito. Un’autobiografia è qualcosa di assolutamente imprevedibile, i risultati sono spesso deludenti e destinata a un pubblico molto specifico; il memoir di Jong, non privo di difetti, riesce però in qualche modo a inserirsi egregiamente nell’insieme della sua produzione letteraria, tradendo forse il fine autobiografico per riuscire più pienamente dove al racconto – frammentato – della propria vita si sovrappone il pensiero libero e come sempre senza filtri sulla società contemporanea, sulla scrittura, sul desiderio femminile.
Le ragioni di questo libro sono ben esplicate da Jong stessa:
Ho scritto questo libro nel tentativo di capirmi meglio. Ho sofferto di attacchi di panico, della paura di essere sola, sono stata dipendente dagli strizzacervelli e dagli uomini. Volevo capire perché è successo: così ho deciso di scrivere un autoritratto nella speranza che possa mettere insieme i pezzi sparsi della mia persona. (p. 16)
Al di là della narrazione autobiografica è, in ultima analisi, la scrittura stessa quello a cui Jong si affida, il solo modo per sentirsi viva e integra:
Scrivere ci consente di rigenerare il contenuto del nostro cranio. Scrivere pulisce una lavagna invasa da distrazioni. Per me, è una meditazione necessaria. Niente mi fa sentire più integra. Il mattino dopo mi ritrovo di nuovo frammentata, e ricomincio da capo. (p. 111)
Le considerazioni sul ruolo della scrittura nella sua vita, l’identità stessa di scrittrice e le problematiche a essa correlata, sono tra le parti più interessanti del testo, che apre in questo senso uno squarcio non soltanto sull’approccio di Jong al mestiere ma soprattutto sul senso che la scrittura sembra dare a tutto il resto e possono essere lette e fatte proprie in qualche modo. La riflessione sulla scrittura si lega nel suo caso al successo: un riconoscimento complicato dalla materia trattata e dalle etichette che le sono state imposte, specie alla pubblicazione di Paura di volare.
Anche se non avevo maschere, i critici me ne appiccicarono una – la maschera femminile della ninfa sempre eccitata. Non sapevo se sfruttarla o rifiutarla. Ogni artista di successo ha una maledizione, e quella era la mia. (p. 197)
Scrivere quel libro, un romanzo che forse oggi definiremmo metafiction, ha significato far sentire la sua voce, raccontare senza filtri il desiderio femminile e il viaggio di ricerca di sé e del proprio posto nel mondo della protagonista Isadora; l’ironia che attraversa il libro, l’onestà della narrazione e le tematiche trattate hanno valso a Jong la celebrità ma anche quelle etichette da cui difficilmente riuscirà a liberarsi. Jong fortunatamente non rinnega né riscrive la propria storia letteraria, semplicemente considera quanto venuto come la conseguenza di una società, quella americana, ancora fortemente puritana e patriarcale.
Se volete diventare famose, fate in modo di non diventarlo per il sesso. […] Per il resto della vostra vita il sesso vi perseguiterà e farà sì che la gente legga i vostri libri in cerca di tracce di ninfomania. L’America è ancora un paese puritano, e se diventate famose per il sesso nessuno vi leggerà per ragioni diverse da quella. (incipit, p. 9)
Raccontare il desiderio femminile e farlo in quei termini ha determinato il tipo di scrittrice che il pubblico e la critica ha percepito in Erica Jong, ma la scoperta della propria voce è una conquista che non ha mai rinnegato, neanche quando ha esplorato forme espressive e generi diversi. Nel frammentato e non lineare racconto autobiografico di Senza cerniera, è interessante come si diceva non tanto la ricostruzione del proprio percorso personale e professionale – che è la parte decisamente meno riuscita del libro – quanto le riflessioni di Jong sulla società entro cui si muove, sulle sue contraddizioni, il profondo razzismo che la attraversa, il confronto con nuovi femminismi e problematiche.
Il movimento #MeToo mi ha conquistata ed elettrizzata fin dal primo momento. Mi ha fatto capire che rispetto alle femministe contemporanee la mia generazione è stata troppo educata. Non abbiamo sempre esercitato il nostro potere con sufficiente forza. (p. 99)
Un punto di vista interessante, come la scelta di Jong di pensare al movimento femminista non diviso in ondate che erroneamente danno l’idea di momenti di straordinario progresso, quanto in piccoli passi di una marcia comune direi, di una strada ancora lunghissima da percorrere e, qui sta il pericolo maggiore, conquiste che non sono tali per sempre ma costantemente messe in discussione e di conseguenza da difendere.

Se l’intento autobiografico è fallito e in questo senso sarebbe stato più opportuno affidare ad altri la ricostruzione del proprio percorso umano e letterario, Erica Jong dimostra però di avere ancora molto da dirci o meglio, di avere ancora molte domande cui dobbiamo cercare da noi le risposte: osservare, interrogarci, indignarci e promuovere il cambiamento, consapevoli che solo insieme è possibile muovere le cose; scrollarsi di dosso le maschere che ci vengono imposte, per scegliere da sole chi essere davvero. 
E poi, alla fine, essere pronti a una nuova sfida, un nuovo capitolo. «La verità è che per uno scrittore c’è sempre un prossimo libro da scrivere» e di quello che Erica Jong ha da dirci abbiamo ancora bisogno.