So di aver ferito alcuni abitanti di Liegi dicendo loro che sono profondamente diversi dai francesi. Gli uomini sono più fratelli e meno fraterni di quanto pretendano. (p. 66)
I vari capitoli del libro “Europa 33”, raccolgono i viaggi del ’33 e del ’34 e sono gli articoli pubblicati su “Voilà”, rivista settimanale, fondata da Gaston Gallimard nel 1931, dedicata a reportage di firme autorevoli. Il numero 104 della rivista si chiama “Europa 33”: uscito il 18 marzo di quello stesso anno. “Europa 33”, non è solo l’anno in cui Simenon si aggira per il vecchio Continente cercando reazioni e conseguenze dei nuovi assetti determinati dalla fine della Prima guerra mondiale ma è anche lo stato del “paziente” Europa che nel dire “trentatré” come davanti ad un medico che sta auscultando il suo petto, mostra la fragilità di relazioni e barriere troppo fragili e troppo ottimistiche.
Come affronta questo lungo viaggio l’indagatore dell’animo umano? Provando a dare una risposta alla domanda da cui la rivista voleva partire, ovvero: «Abbiamo detto a Simenon: “Un giorno un poeta ha scritto qualcosa che suonava pressapoco così: Ogni uomo ha due patrie: la propria e la Francia. È ancora così oggi?”.
Al centro c’è sempre l’uomo, tra Odessa, Berlino, Vilnius o Varsavia, tra confini che cambiano e prospettive politiche che destabilizzano, gli uomini comuni cercano di sopravvivere e di capire come conciliare quello che erano con ciò che diventeranno. C’è un operaio che conduce Simenon, il reporter Simenon alla Casa del Popolo, in Vallonia. C’è l’occhio del reporter che coglie particolari, cibi genuini, ragazze gustose come pasticcini, c’è soprattutto “l’uomo nudo” con cui lo scrittore ha tanta dimestichezza, in questa Europa che non si mette in posa come in cartolina, anche le immagini che Simenon ci regala ci parlano di atmosfere e vita vissuta.
Belgio, Polonia, Romania o Bulgaria, tutto scorre dal finestrino di un treno ma diventa poi reale, come le teorie politiche della povera gente, che si sente patriota a seconda del vento che soffia. Poi c’è l’Europa dei grandi alberghi europei, quella dei clienti degli alberghi di lusso, che hanno come referenza le etichette dei loro bagagli e dove ai cittadini sembra quasi non possa succedere nulla. Un metto contrasto coi viaggi nelle periferie e nelle campagne (di gran lunga i suoi preferiti); anche sulla Germania il fiuto di Simenon non può sbagliarsi e della Russia con il suo Comunismo odia le imposizioni e la difficoltà di entrata e uscita, c’è la Turchia dove incontra Trockij, espulso dal partito comunista e i porti sul Mar Nero.
Del viaggio ad Odessa cita con ironia le cure della guida, tanto desiderosa di mostrare cose che Simenon non ha interesse davvero a vedere ma che in qualche modo lo distraggono dal raccontare alla Francia la verità, la miseria soprattutto. C’è anche la Fame vera, quella che spaventa e che non riusciamo davvero a descrivere, e che è parte di un certo paesaggio che ti resta addosso.
Di tutto ci resta impresso il racconto “fotografico” di Simenon, non solo quello strettamente collegato alle immagini ma lo sguardo che si è imposto e ci ha imposto e che rende “istantaneo” lo sguardo e difficile da dimenticare il retrogusto.
Samantha Viva
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