Dove le ragioni finiscono
di Yiyun Li
NN Editore, maggio 2021
Traduzione di Laura Noulian
pp. 160
€ 17 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
“Perdita”, dal latino perdĭta, il fatto di perdere qualcuno o qualcosa. “Lutto”, dal latino lūctus, sentimento di profondo dolore che si prova per la morte di persona cara, soprattutto di un parente, o in genere di persone la cui perdita è vivamente rimpianta. “Memoria”, dal latino memoria, derivazione di memor -ŏris «memore», la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. Perdita, lutto e memoria - con le relative definizioni – sono le tre parole che reggono le fondamenta del nuovo (quasi) memoir di Yiyun Li, edito da NN Editore, Dove le ragioni finiscono. L’autrice sino-americana è una donna di quarantaquattro anni che ha tentato due volte di togliersi la via. Dove le ragioni finiscono è un libro dedicato al figlio maggiore, Vincent, che il proprio suicidio l’ha portato a termine all’età di sedici anni, lasciando un vuoto nella vita della scrittrice che cerca in questo libro, in qualche modo, di colmare.
Come abbiamo detto, Dove le ragioni finiscono è quasi un memoir perché la componente inventiva tipica della narrazione letteraria snatura la solita impostazione delle storie basate sulla memoria per trasformarsi in un qualcosa di ibrido, che oscilla tra tragica realtà e spigliata fantasia, creando un non-mondo «a metà strada fra il da qualche parte e il da nessuna parte» (p. 117) fatto unicamente di parole che permettono lo sviluppo di un eterno dialogo tra una madre scrittrice e un figlio chiamato Nikolai, morto suicida a sedici anni. Bloccati in un mondo senza tempo e senza confini, la madre scende nell’Ade greco per recuperare il figlio attraverso l’unico mezzo che ancora può permettere di salvarlo, quindi di ricordarlo: la parola. Yiyun Li allora inizia a scarnificare la lingua, le parole, i morfemi. Ricerca ossessivamente l’etimologia delle parole, scavando nella base del linguaggio per cercare un possibile senso razionale che si cela dietro a un dolore irrazionale e che non può apparentemente essere spiegato a parole. Dietro allo smembramento delle unità linguistiche c’è la necessità di comprendere il trauma, quindi di ritrovare Nikolai, di indugiare ancora un po’ nei ricordi comuni per far rivivere il figlio nel mondo che la madre ha creato per lui. Un mondo fatto di letteratura in cui si alternano Macbeth, Proust, Charles Bovary, Victor Hugo, Tolstoj, Lemony Snicket e tanti altri, confondendo nel testo il confine tra il reale e il letterario (così come nel libro non è certo quale sia il confine tra la vita e la morte). Il mondo delle parole diventa per la madre un mezzo di sopravvivenza per se stessa e per il figlio perduto:
Perché scrivere, disse lui, se puoi sentire?Cioè?Ho sempre avuto l’idea che la scrittura sia per le persone che non vogliono sentire o non sanno come farlo.E la lettura? Domandai. Nikolai era un buon lettore.La lettura è per quelli che vogliono sentire. (p. 54)
La perdita permette a Yiyun Li di riflettere sul rapporto di interdipendenza tra genitori e figli, e l’immagine che meglio simboleggia questa relazione è quella dell’albero:
Da un po’ di tempo in qua la mia mente si rivolge spesso agli alberi. Essere genitore non significa forse puntellare? Trasformiamo il nostro busto in forti bastoni di legno, le nostre braccia in cinghie robuste, i nostri cuori in fasce gentili avvolte attorno a una giovane corteccia. Teniamo stretti a noi gli alberelli, giurando di non fare loro del male, sperando che crescano dritti e sani, ma i figli non sono alberi. A volte vogliono fare come pare a loro – andarsene a camminare, a correre, a volare – senza sentirsi impastoiati. I figli non sempre aderiscono alle proprie radici. (p. 83)
Se la voce narrante diventa una madre-albero in Dove le ragioni finiscono, Nikolai è un uccello che è stato protetto dalle fronde di quello stesso albero e che, ad un certo punto, ha deciso di volare via. La grandezza di questo libro sta nella delicata empatia mostrata dalla madre-albero, la quale non chiede perché il figlio si sia ucciso. Al contrario, promette a Nikolai comprensione, conforto e compagnia in un viaggio al di là della materialità, sprofondando nei ricordi agrodolci che sanno di lacrime e risate, di torte appena sfornate e aspre litigate, di dolci presenze e vuoti spaventosi, di gioia per una vita intera e di afflizione per le otto ore in cui la madre ha visto per l’ultima volta il figlio, prima dell’imminente morte. Dove le ragioni finiscono è un libro che consola, nonostante tutto. Consola perché permette al lettore di capire che c’è un luogo in cui possiamo sopravvivere e in cui la nostra memoria non è persa per sempre. Quel luogo è fatto di carta bianca, inchiostro nero e parole. Quel luogo è la letteratura. Dissezionando le parole e il loro significato, Yiyun Li ricrea una grammatica della perdita che permette di capire ciò che non è comprensibile, ascoltare ciò che non è ascoltabile e credere in ciò che avevamo dato per impossibile. Dietro i lemmi, le etimologie e le lettere stampate sulla pagina, Nikolai continua a vivere.
Nicola Biasio