L’ermellino di Leonardo.
Dodici storie di animali fra arte e natura
di Ananda Banerjee e Martina Corgnati
Nomos Edizioni, 2021
pp. 240
€ 29,90 (cartaceo)
Con tutta la licenza ironica del caso, questa recensione potrebbe ben avere l’inizio di alcune famose barzellette, quelle i cui preamboli annunciano la compresenza di un certo numero di protagonisti e lasciano intendere come proprio l’assortimento sia ragione non ultima dell’effetto comico o paradossale. E nel caso del volume in esame – L’ermellino di Leonardo, scritto a quattro mani da Ananda Banerjee e Martina Corgnati – le dramatis personae sarebbero davvero numerosissime, oltre che distinguibili in due categorie: da una parte un gruppo di animali talmente variegato da ricordare l’arca di Noè – una balena, un leone, un ghepardo, una giraffa, un rinoceronte, un elefante, un dodo, una gru, una tigre, un pappagallo, un coyote e, per l’appunto, un ermellino – dall’altra una selezione di artisti tra i più importanti di sempre, capaci, con le loro opere, di determinare l’immaginario collettivo attraverso i secoli e le culture – nell’ordine: Giotto, Giovannino De Grassi, Piero di Cosimo, Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer, Giulio Romano, Ustād Manṣur, Katsushika Hokusai, Eugène Delacroix, Frida Kahlo e Joseph Beuys (senza tacere degli anonimi mosaicisti medievali che nel IV secolo d. C. posarono le tessere della pavimentazione del duomo di Aquileia).
Peccato però che quello appena dato alle stampe da Nomos Edizioni con il patrocinio di LIPU e WWF non sia propriamente un libro votato al potere liberatorio della risata, e che anzi, a volerla dire tutta, i suoi presupposti siano addirittura drammatici. Difatti, “le dodici storie di animali fra arte e natura” annunciate dal sottotitolo sono gli spunti ideali per far riflettere il lettore sulle attuali fragilità e criticità degli ambienti e degli ecosistemi: una serie di racconti “bifronte”, insomma, in cui le descrizioni di alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte occidentale e orientale tra quelli aventi fiere e bestiole in ruoli di primo piano vanno di pari passo con la disamina degli effetti negativi dell’Antropocene sulla fauna terrestre, marina e volatile.
Ananda Banerjee (impegnato giornalista ambientale e naturalista oltre che artista grafico) e Martina Corgnati (storica dell’arte, curatrice e autrice oltre che docente all’Accademia di Brera, dove dirige la Scuola di Beni Culturali) hanno messo insieme le proprie specifiche competenze per dare vita a un’opera in cui le rispettive letture concordano nel riconoscere alla bellezza generalmente intesa un ruolo fondamentale per l’esistenza e la sopravvivenza del pianeta Terra e dei suoi abitanti; una certezza, questa, che è tanto premessa quanto conclusione dell’intero lavoro, argomentata attraverso una dozzina di esempi emblematici e consapevolmente non esaustivi: «scopo di questo libro», scrivono insieme nelle pagine introduttive, «è anche mostrare a un pubblico di appassionati come l’arte sia legata a doppio filo alla natura, delle cui forme varie e variabili si è sempre nutrita, costruendovi intorno l’intero patrimonio del nostro immaginario simbolico, folclorico, narrativo e, alla fine, culturale» (p. 7).
Dodici capitoli per dodici storie, dunque, alle quali accedere attraverso una duplice chiave di lettura. Dapprima la presentazione dell’opera d’arte in sé, per la quale Martina Corgnati scrive pagine godibili come racconti brevi, in cui l’esattezza dei dati e dei riferimenti è consegnata al lettore in una prosa sempre ispirata e autoriale accompagnata dalle immagini. A seguire il contributo di Ananda Banerjee, a cui va il compito di descrivere scientificamente la rispettiva specie animale e di rendere conto – anche, spesso e purtroppo – dei dati preoccupanti circa le attuali condizioni di vita e i possibili rischi di estinzione. Una certa esoticità, esclusività e rarità caratterizzano le fiere prese in esame, in una coincidenza non casuale con quelle che già secoli e secoli fa sono state le ragioni stesse della loro resa tramite mosaico, affresco, pittura e grafica (con l’eccezione della documentazione in bianco e nero riguardante il lavoro di Joseph Beuys, che si ritrovò a tu per tu con un esemplare di coyote nella performance dal titolo I like America and America likes me, svoltasi dal 21 al 25 maggio del 1974 all’interno della galleria René Block di New York). Leggende e abitudini, simbologie e statistiche, credenze e percentuali convivono così in due narrazioni parallele che restituiscono i profili estetici e zoologici di creature affascinanti, ormai note ai più anche nelle loro più peculiari abitudini grazie alla facile e immediata reperibilità di materiale documentario in formato fotografico e audiovisivo.
Molteplici le attitudini degli animali al centro delle dodici storie: molto spesso sono proprio loro i protagonisti assoluti della rappresentazione, restituiti nella peculiarità di un atteggiamento o nella fissità intenzionale di una posa documentaria (il leone giottesco che bada ai suoi cuccioli in un quadrilobo della Cappella degli Scrovegni di Padova, la triade con ghepardo, unicorno e orso bruno appuntata in una pagina del Taccuino di pergamena di Giovannino De Grassi, il rinoceronte inciso da Albrecht Dürer, il gruppo con dodo e uccelli indiani nativi dipinto da Ustād Manṣur, le gru a riposo su un pino innevato di Katsushika Hokusai, la Giovane tigre che gioca con la madre di Eugène Delacroix); talvolta sono presenze attive e solo apparentemente di contorno in scene d’insieme di matrice biblica o mitologica (ecco il pistrice che ingoia Giona sul pavimento della basilica aquileiana, ecco la giraffa reticolata a suo agio sullo sfondo campestre del Vulcano ed Eolo di Piero di Cosimo, ecco l’elefante convitato al Banchetto degli dei per le nozze di Cupido e Psiche di Giulio Romano a Palazzo Te); e possono essere, non da ultimo, comprimari eccellenti in ritratti e autoritratti la cui fama è legata proprio alla loro presenza espressiva (come immaginare Cecilia Gallerani senza il suo ermellino (o non era forse un furetto?) nel celebre quadro leonardesco? E che cosa sarebbe stata Frida Kahlo senza i suoi amati pappagalli, esempi volatili di un amore materno che contemplava con eguale sentimento cani, scimmie e addirittura un cerbiatto?). Gli animali raccontati da Corgnati e Banerjee testimoniano e confermano l’antichità del loro rapporto con gli esseri umani, e il bisogno di questi ultimi di rendere loro omaggio, immortalarne le sembianze, eternarne la fama (come nel caso dell’elefante Annone prediletto da papa Leone X, dono del re del Portogallo Manuel I). Per queste ragioni, a fine lettura, non si possono non condividere le parole di commento di Alessandro Polinori, Vice Presidente LIPU/BirdLife Italia:
«un’opera come questa, dove alcune specie animali fanno da filo conduttore in un viaggio tra arte e natura, secoli e continenti, rappresenta una stella polare nel panorama editoriale italiano e internazionale, in grado di costruire ponti tra ambiti solo in apparenza lontani, ma ricchi di collegamenti, territoriali e tematici, da conoscere e valorizzare. Nello specifico, l’originale approccio multidisciplinare proposto dagli autori, che parte dalla storia dell’arte per arrivare alla conservazione della biodiversità, offre chiavi di lettura perfettamente integrate, in grado di soddisfare un pubblico diversificato, rappresentando altresì un prezioso strumento per le attività di sensibilizzazione ambientale. Si giunge così alla compiuta sintesi tra cultura umanistica e scientifica, indispensabile per arrivare a far conoscere, amare e rispettare quelle opere d’arte, uniche e irripetibili, rappresentate dagli animali che popolano la nostra Terra» (p. 9).Nuova e originale proposta all’interno di un’offerta editoriale che non è mai stata così attenta alle tematiche green – ormai declinate nei modi più vari e osservate attraverso le lenti di ogni settore disciplinare, oltre che destinate a tutte le tipologie di pubblico – L’ermellino di Leonardo è senza dubbio, come scrive in apertura Fulco Pratesi, Fondatore e Presidente Onorario di WWF Italia, «un’opera singolare in cui citazioni storiche e artistiche di rara completezza e ricchezza, legate ai singoli animali, sono unite alle storie attuali e problematiche di molti di essi, la cui sopravvivenza è affidata all’opera generosa ed efficace del WWF» (p. 11). A farne «un libro di affascinante lettura oltre che di grande interesse scientifico e divulgativo» è senza dubbio la capacità di Banerjee e Corgnati di mettere le proprie competenze al servizio di una causa oltremodo importante e la cui militanza non può e non deve esaurirsi nel tempo limitato della fruizione del testo; la gradevolezza e la transitività delle pagine, apprezzabili e comprensibili da un’utenza ben più ampia di quella degli addetti ai lavori, è difatti in linea con la concezione che l’arte e l’ambiente siano un patrimonio comune, collettivo, condiviso. Senza mai banalizzare i riferimenti e le criticità in questione, e al contrario sostanziando le rispettive prose con riferimenti, dati, note e indicazioni bibliografiche, i due autori riescono a trasmettere il senso di un’emergenza in cui la fragilità degli equilibri naturali fa non a caso il paio con quella che, parimenti e da sempre, caratterizza le opere d’arte; un connubio che anche e proprio per questo risulta ancora più perfetto, e che si affida alle cure di una ritrovata e rinnovata sensibilità.
Cecilia Mariani
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