Oggi Tokyo, ieri Edo: le "Cento vedute di luoghi celebri", l'ultimo capolavoro del maestro dell'incisione Utagawa Hiroshige


Hiroshige.
Cento vedute di luoghi celebri di Edo

a cura di Anne Sefrioui
traduzione dal francese di Vera Verdiani
L’ippocampo, 2021

Cofanetto con:
pp. 58 (opuscolo)
pp. 120 (stampe)

€ 29,00 (cartaceo)




Diecimila morti, mezza città completamente distrutta, intere zone da demolire e da ricostruire ex novo: il terremoto che nel 1855 investe la capitale del Giappone – ovvero Edo, l’attuale Tokyo – ha conseguenze di non poco conto sull’assetto urbano di quello che al tempo, con due milioni di individui, è il centro abitato più popoloso al mondo. Come sempre accade quando si verificano catastrofi simili, molti dei vecchi equilibri paesaggistici e architettonici vanno perduti per sempre, e ai sopravvissuti tocca darsi da fare per edificarne di nuovi. Ma se si è un editore come Sakanaya Eikichi si può anche decidere di dare il proprio contributo alla causa in modo conforme e coerente al proprio mestiere, per esempio progettando di pubblicare subito, già per l’anno seguente, una serie di stampe dedicate proprio a Edo e alla sua rinnovata bellezza in seguito alle trasformazioni.

Ecco dunque che l’uomo d'affari, desiderando il meglio del meglio, si rivolge a un professionista come Utagawa Hiroshige (1797-1858), nativo del luogo oltre che venerato maestro dell’incisione e specializzato da anni nel genere detto meisho-e. Nascono così le Cento vedute dei luoghi celebri di Edo, un album destinato a un enorme successo sia in patria sia all’estero, non a caso annoverato tra le principali ragioni di quel giapponismo destinato a influenzare in modo determinante le sorti dell’arte europea. Pazienza se proprio l’autore morirà di colera prima di avere portato a termine l’opera: questa sua ultima fatica resterà una pietra miliare nel suo percorso – era del resto già all’apice del successo – oltre che in quello dell’arte nipponica della silografia policroma.

Per chi ancora non conoscesse queste cento (e in verità centodiciotto) famosissime incisioni – per dare un’idea del gradimento si pensi che alcune ebbero, al tempo, una tiratura anche in quindicimila esemplari – L’ippocampo ha da poco pubblicato un cofanetto che le raccoglie nella loro totalità: da una parte le silografie, dall’altra un opuscolo a cura di Anne Sefrioui che ne racconta la storia e le descrive brevemente una a una; una bella occasione per familiarizzare con un’opera a tutti gli effetti “di cerniera” tra Oriente e Occidente, esito maturo di un maestro che aveva già ben espresso la sua dedizione quasi trentennale al genere con le Vedute della capitale orientale (1831), Le cinquantatre stazioni di Tōkaidō (1834), Le sessantanove stazioni di Kiso Kaidō (1838-1842) e i Paesaggi celebri delle sessanta province del Giappone (1853-1856).

Foto di Cecilia Mariani

Le ragioni per sfogliare con piacere questa raccolta a quasi due secoli di distanza dalla sua origine hanno qualcosa in comune con quelle che determinarono in patria il successo del genere meisho-e, che allora beneficiò non secondariamente dell’incremento degli spostamenti interni per cause commerciali e turistiche. Difatti, se è vero che nel Giappone della seconda metà dell’Ottocento queste stampe fungevano anche da guide turistiche per coloro che non avevano la possibilità di conoscere posti nuovi, esse offrono oggi la possibilità di un viaggio nel tempo e nello spazio alla scoperta di un centro nevralgico del Sol Levante; tanto più che Hiroshige si è premurato di mostrarlo negli aspetti più gradevoli e accattivanti (le ambientazioni primaverili prevalgono in un album comunque suddiviso per stagioni), pieno di vita brulicante (la figura umana è sempre presente in ogni silografia, con gruppi di persone intente a passeggiare o impegnate in qualche attività) e con attenzione mirata per i luoghi più caratteristici e identificativi (dai santuari alle vie commerciali, dai giardini in fiore ai quartieri dedicati, dai ponti alle vaghe e prudenti allusioni al palazzo shogunale, non altrimenti rappresentabile).

Album della maturità, questo di Hiroshige permette di conseguenza di apprezzarne i massimi risultati anche in senso stilistico: il formato verticale, snello e slanciato, è ormai preferito a quello orizzontale (difatti del tutto assente); la resa mirabile dei colori è l’esito di una sapienza artigianale che ha portato alla massima raffinatezza la tecnica dello “sfumato per strofinamento”, capace di restituire al meglio le atmosfere legate alla stagionalità e alle varie ore della giornata; ma soprattutto colpiscono gli esiti modernissimi delle scelte legate alla composizione e al punto di vista, in cui l’autore, quando non adotta una classica e pacifica prospettiva “a volo d‘uccello”, si lascia volentieri ispirare dal collega Katsushika Hokusai divertendosi a esaltare forti contrasti dimensionali tra gli elementi rappresentati, con esiti di grande originalità che ricordano (nel senso che le anticipano) vere e proprie inquadrature fotografiche e cinematografiche legate alle sfere espressive della soggettività. Ora semplice maniera per alludere a un ambiente in modo sineddotico, ora vera e propria strategia un po’ironica e un po’ grottesca per spiazzare, e non sempre in modo spiacevole, l’osservatore (come quando “valorizza” al massimo una nuda gamba d’uomo non priva di peluria, un deretano equino da poco sgravato dei suoi escrementi, una tartaruga sospesa a una corda in attesa del suo acquirente), la compresenza di dettagli ingranditi in primissimo piano e campi lunghi e lunghissimi sullo sfondo conferisce a certe tavole una vivacità e un dinamismo che trasformano la descrizione in narrazione, rendendo il pubblico in qualche modo partecipe della scena. E non mancano, infine, delle vere e proprie icone: è il caso dell’Acquazzone sul ponte Shin-Ōhashi e Atake, la stampa che piacque così tanto a Vincent van Gogh al punto che ne fece una celebre copia a olio nel 1887. Nota bene a questo proposito Anne Sefrioui:

«l’artista aveva visto giusto, tutto è assolutamente mirabile in questa trascrizione di un improvviso acquazzone su un ponte: la sapiente disposizione delle diagonali, la raffinatezza delle tonalità grigie e blu, l’abilità dell’incisore nell’eseguire la pioggia, l’istantaneità della scena e i suoi realistici particolari» (p. 37).

Foto di Cecilia Mariani

La serie di cofanetti dedicata da L'ippocampo ai grandi maestri giapponesi dell’incisione trova in
queste Cento vedute di luoghi celebri di Edo un nuovo esempio di ottima fattura, per il quale valgono gli stessi elogi riservati ai precedenti. Di nuovo si apprezza il formato leporello che rilega le stampe tra due tavolette telate (stavolta in verde), e che proprio per la fattura delicata richiede a chi lo sfoglia le pause e le cure di una fruizione lenta e attenta ai dettagli; e di nuovo, sempre a preservare la purezza delle immagini, si apprezza la separazione tra stampe e testi di commento, pur nel consueto rammarico di che avrebbe voluto a colori e non in bianco e nero anche le piccole riproduzioni dell’opuscolo. Nell’ottica di un piccolo culto collezionistico in corso, questo omaggio a Hiroshige aspetta solo di aggiungersi al resto del repertorio dell’artista (Paesaggi celebri delle sessanta province del Giappone) e di quello dei suoi “colleghi” (Le trentasei vedute del monte Fuji, Stagioni viste dai grandi maestri della stampa giapponese, Geishe): osservate con occhi contemporanei, magari gli stessi recentemente puntati sui giochi Olimpici di Tokyo e sulla conseguente esposizione mediatica della città, appariranno come testimonianza ancora più struggente di un passato remoto, pur nella consapevolezza di una nazione in cui, più che in altre, si percepiscono il contrasto e il rapporto tra l’antichissimo e il modernissimo, tra la tradizione e l’avanguardia.
    
Cecilia Mariani