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Feroce Maiorca: le memorie di una bambina nella Spagna franchista in “Ricordo di un’isola”, di Ana María Matute

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Ricordo di un’isola
di Ana María Matute
Fazi Editore, luglio 2021

Traduzione di Maria Nicola

pp. 234
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)





Leggendo le prime pagine di Ricordo di un’isola di Ana María Matute si ha l’impressione di ritornare sull’Isola Che Non C’è: bande di bambini lasciati a loro stessi che corrono per le spiagge e per i boschi, vegetazione rigogliosa, vecchi pirati che hanno solcato i mari e storie antiche di un’isola che, sottoterra, nasconde rovine, tesori e resti umani di una vita isolana che ha preceduto quella dei protagonisti. Poi la magia si spezza. Peter Pan non è un giovane ragazzo dal cuore d’oro, ma in realtà si chiama Borja, perfido e malizioso adolescente a capo di una banda di scapestrati (che ricorda i bambini sperduti) e capace di manipolare le persone a suo vantaggio. Wendy si trasforma invece in Matia, la voce narrante del romanzo, cugina di Borja, una ribelle ragazza orfana di madre e abbandonata dal padre, e che è stata espulsa dal convento in cui studiava per aver dato un vigoroso calcio sul didietro alla priora. Matia viene obbligata a trascorrere l’estate nella casa della sua ricca nonna, donna Práxedes, il Capitan Uncino della situazione che, attraverso fili invisibili, manovra e controlla tutti gli avvenimenti che hanno luogo sull’isola. Ci troviamo a Maiorca, l’anno è il 1936 e anche se la guerra civile è appena scoppiata nella Spagna continentale, la sua violenza riverbera già sull’isola.

Ana María Matute nasce a Barcellona nel 1925, dove poi muore nel 2014. Figura fondamentale della letteratura spagnola del Novecento, ha vissuto tutti i grandi cambiamenti del secolo scorso e li ha riversati nella sua prosa, concisa e lirica allo stesso tempo, influenzata dalla scuola del surrealismo - il quale mira a intercettare ogni vibrazione dell’interiorità umana – e dal realismo sociale iberico. Vincitrice del Premio Cervantes 2010 e più volte candidata al Nobel, Ana María Matute ha un conto in sospeso con la memoria: l’infanzia dell’autrice è segnata dagli orrori e dai traumi della guerra civile e del regime di Franco. Ricordi che, spesso, ritornano nei suoi libri. Ricordi che segnano per sempre la protagonista di Ricordo di un’isola. Pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1959 e uscito poi in Italia per Sellerio nel 1997, Fazi Editore decide di far riscoprire l’autrice al pubblico italiano attraverso una nuova traduzione del romanzo, primo volume della trilogia Los Mercaderes che la casa editrice si ripropone di tradurre integralmente.

Ricordo di un’isola è narrato a posteriori da una Matia che il lettore capisce essere già adulta e che ripercorre i fili della sua memoria, scatenando una sorta di ritorno del represso di tutto quello che da bambina non riusciva a capire. Il romanzo combatte su due fronti: la memoria della guerra e la guerra dell’adolescenza, tematiche che si intersecano e che, alle volte, si sovrappongono. A fare da scenario è l’isola con la sua dimensione di utopica spensieratezza, libertà e felicità grazie alla distanza geografica di questa piccola parte di mondo immersa nel cuore azzurro del Mediterraneo. Lontana dal continente, l’isola sembra non poter essere toccata dal male. Ma, come ben sappiamo, il confine tra utopia e distopia è molto labile. Matia lo capisce attraverso le energie contraddittorie che l’isola emana; la bambina sente nel vibrare della terra, nel vento tra le agavi, nel rombare delle onde e nel suono delle campane i tristi presagi di un futuro prossimo molto oscuro. Matia e Borja si confrontano con la realtà della guerra solo indirettamente, origliando le conversazioni segrete della nonna, leggendo le lettere di zia Emilia, pensando ai loro padri in guerra (repubblicano, quello di Matia, franchista, quello di Borja), venendo a sapere dei desaparecidos politici, e scrutando il mare sperando in un possibile ritorno delle persone a loro care.

E se inconscio è il ricordo della guerra, il conflitto più difficile a cui sopravvivere è dentro i personaggi stessi. Borja e Matia vivono un’adolescenza atipica, segnata dalla negazione degli affetti che deriva dallo scoppio della guerra. L’adolescenza diventa per loro una fase informe della propria vita, a metà tra l’inesorabile perdita dell’innocenza infantile e l’incapacità di comprendere appieno la vita adulta. Non a caso, nei libri della Matute è ricorrente il tema della contrapposizione tra il mondo degli adulti (in particolare, Ricordo di un’isola chiama in causa i rappresentanti dell’aristocrazia e borghesia iberica come impliciti colpevoli della guerra civile in atto) e quello dei giovani adolescenti che si interfacciano con una realtà che ancora non capiscono. A fare da cerniera tra queste due dimensioni nel romanzo è la figura di Jorge di Son Major, il signorotto dell’isola, la cui fama di pirata e instancabile viaggiatore lo precede. L’idealizzazione della sua figura da parte dei bambini si scontra con la deludente realtà del loro primo incontro: un vecchio uomo con le mani tremanti, la memoria debole e senza più storie da raccontare.

Ricordo di un’isola è, in definitiva, un romanzo che parla della perdita dell’innocenza, del male che si annida in ognuno di noi e della incapacità di espiare le proprie colpe. Esemplare è l’episodio in cui Borja decide di incolpare Manuel, un povero ragazzo di cui Matia è segretamente attratta, di un crimine che non ha commesso, rovinandogli la vita. Così Matia si rende conto che Maiorca è un’isola feroce, che le persone (anche lei stessa) non sono buone, che suo padre forse non tornerà a casa, che la guerra durerà più del previsto e che le favole a cui credeva non servono a un bel niente:
L’Isola Che Non C’è non era mai esistita, e la Sirenetta non era mai riuscita ad avere un’anima immortale, perché gli uomini e le donne non amano, le era rimasto solo un inutile paio di gambe, e si era trasformata in spuma. (p. 231) 

Nicola Biasio