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Questa è la seconda parte dell'articolo - clicca per la prima parte (le citazioni sono tratte da "Il sole dell'Andalusia", di Federico García Lorca, a cura di Matteo Lefèvre, Garzanti 2021)
3. Se si decide di andare a visitare il complesso palaziale arabo dell’Alhambra a Granada, si rimane folgorati dalla sua bellezza e dal gioco di colori, di suoni, di acque e di vegetazione che lo caratterizza. Molto del suo fascino è dato dal carattere onirico, quasi surreale che ha, dal «sogno orientale» (p. 38) che evoca in chiunque la guardi dall’esterno o decida di visitarla all’interno.
Posta sulla collina, sovrasta la città di Granada, che vista dalla terrazza dei palazzi Nasridi sembra dispiegare «le sue case bianche con echi fantastici» (p. 38) come fossero figure geometriche di una coperta di seta araba. Il bianco, attenuato dal terreno arido e dai tetti di un mattone rosso spento, fa da giusto contraltare ai palazzi intarsiati e ai giardini pieni di colori vivaci e brillanti, e trascende le costruzioni, andando a intaccare le impressioni dei visitatori e il quotidiano modo d’intendere la vita propria dei cittadini di Granada: «sì, perché tutto si fa prisma multicolore in una tavolozza di colori tenui che va dal candore delle nuvole al nero dei cipressi lontani passando attraverso un gran pavese di rosa, viola, azzurro, giallo ecc.» (p. 15-16).
Tutto in questa parte della Spagna sembra disfarsi dopo un momento di magnificenza. Ogni cosa si concretizza e si sgretola poco dopo, nulla sembra definito, nulla sembra netto: tutto è onirico e armonico, statico nel suo continuo morire, nel suo continuo nascere e perire. È come se l’intera città di Granada, con le sue case bianche, le sue vie strette, il suo Albayzìn e i suoi giardini, e l’intera città fortificata dell’Alhambra fossero lì come per un memento mori perenne, in cui si riverbera la pienezza della vita, in cui esplode la bellezza prima di annullarsi. È come se il fine di tutto fosse proprio perire, sparire per sempre lasciando ai posteri solo la conchiglia di quello che si è stati. È questa l’impressione che si ha quando ci si ferma nel Patio de los Arrayanes ad ammirare il riflesso della facciata araba sulla superficie dell’acqua e la commistione tra marmi e piastrelle ceramiche, e si riflette sul tempo che ha corroso la sua torretta.
Ed è questo scontro tra caducità e perenne voglia di vivere che si sente sulla pelle girando per il complesso palaziale arabo e per il giardino del palazzo Generalyfe, e che si percepisce sostando nel Patio de la Acequia, in quella sua splendida piscina circuita dal verde.