L’amore muto
di Pia Rimini
readerforblind, luglio 2021
prefazione di Giulia Caminito
pp. 252
€ 16 (cartaceo)
Occhi scuri e vispi, quel ricciolo sovversivo che le cade sulla fronte. Un sorriso callido si adagia sulle sue piccole labbra. Bella, colta, emancipata e controcorrente, Pia Rimini, nata a Trieste l’8 gennaio del 1900, vive una vita che pare esserle stata scritta da qualcun altro: all’età di diciott’anni resta incinta fuori dal matrimonio (siamo alla fine della Prima Guerra Mondiale) di un bambino che nasce già morto, non risparmiandola alle chiacchiere veloci delle bocche avide del paese; ma la “donna chiacchierata” diventa presto una delle voci più influenti per i diritti delle donne, tenendo diverse conferenze, e la stampa la acclama tra le migliori scrittrici di novelle e romanzi dal forte sapore autobiografico del suo tempo, addirittura La Stampa scrive di lei: «Più del Soldati e del Moravia possiede qualità davvero promettenti» [dalla prefazione a Il Giunco, 2017 Antonio Tombolini Editore, di Maria Neglia].
Si sposa in età matura e divorzia subito dopo, chiedendo l’annullamento alla Sacra Rota per gentile concessione dell'Arcivescovo Antonio Santin, caro amico di famiglia. Eppure quel suo cognome di matrice ebraica è troppo per i nazisti che, il 17 giugno 1944, l’arrestano mettendo fine alla sua esistenza prima in Risiera di San Saba poi ad Auschwitz dove cadrà per sempre nell’oblio.
«Dare: è quella la vita: tender le braccia nell'offerta di luce e di ardore: “Prendi!”» (p. 110).
Dare e prendere, verbi generici eppur così animosi che riemergono da le polveri edito da readerforblind, che dà nuovamente alla luce la penna squisitamente attenta e sincera di Pia Rimini in L’amore muto, dove il sentimento è un perpetuo sacrificio di parole trattenute o soffocate in un bianco smorto, scheggiato e consumato, quello stesso bianco che avrebbe dovuto coronare il cambiamento da donna a moglie, il matrimonio, o che sarebbe dovuto essere il pallore dolce di un figlio desiderato.
«Ella disse di sì, senza parole, con un cenno della testa, trascinando a spazzar le strade, dalla chiesa al municipio, il grigio della veste e del velo da viaggio (il passo dal nubilato al matrimonio è sempre un viaggio): e tra tanto fluttuare di grigiore, il giallo largo del suo sorriso beato» (p. 158).
Quel cenno della testa, quel sorriso beato sono l’amore muto, non un sentimento incompreso, ma l’amore non detto che diviene lingua universale, che accomuna, unisce, rende intelligibili i giorni che scivolano via senza parola. Quella stessa parola fatta d’ignoto, di paura e di lacrime che Pia Rimini diffonde a gran voce durante le sue conferenze, e che scrive con esattezza affinché «volle dare un volto a quella parola, come faceva da bambina, che per ogni parola le fioriva dentro un’immagine» (p. 19).
Tuttavia, la parola può essere un potente strumento d’identificazione compiuta e insieme condensata, confinando le personalità delle protagoniste a un unico nome: Cicciotta, La Bionda, La Gramigna, Puledra, sono compendi di identità, facili da capire, da collocare, da giudicare. Puledra è la parola che distrugge l’intimità di Maria, che ha il nome cristiano della Vergine appesa sopra il letto, «una Vergine tutta violenza di bianco e d’azzurro, nella sua veste s’allargava l’ombra verdastra, e come sollevata dall’orlo bianco e soffice, d’una macchia di muffa» (p. 83).
Il putridume che si aggiunge all’attesa di un amore, al desiderio di una vita diversa, a un’illusione, alla neonata lascivia.
Le donne di Pia Rimini sono povere e rurali, le quali provano ad afferrare il bianco ambizioso del velo, anelando la stretta delle braccia dell’uomo amato e la fioritura alla luce di un figlio, o di un nipote. Esse sono donne che immaginano gli impulsi della carne che si fa amore e indissolubilità nel loro ventre. Esse sono mogli, prostitute, nonne, peccatrici e vergini. Esse si persuadono di dire addio per sempre al loro stato di miseria affidandosi a un uomo, che promette loro le nozze e l’amore eterno. Ma, «la gioia, a volte, fa più male del dolore» (p. 89), e tutto ciò che resta da dire, nella naturale ricerca del piacere sessuale, a cui non si resiste perché dettato da un desiderio muto e ferino che deve essere soddisfatto a tutti i costi da lui, per illusione da lei, è: «Senti, non mi far del male» (p. 82).
Ma il male è fatto, è dato e preso, e tutti lo sanno ormai, «poveretta», dicono in coro, soprattutto le donne, quelle che hanno avuto la fortuna di acciuffare quel velo screziato d’apparenza, sentendosi migliori.
La “donna chiacchierata”, la “donna sedotta e abbandonata”, la “sgualdrina”, «ma quella, se la tocchi con un dito, ti fa subito un marmocchio» (p. 78); donne ingiallite e raggrinzite, dimenticate, derise e mute, per poter essere comprese da tutti, pronte a rifiorire di freschezza e nuova vita.
«Per la strada la Mora gli raccontò la sua storia che era un po’ quella di tutte le ragazze. Il suo primo si chiamava Vittorio. Gli aveva voluto bene. Molto bene. Disse tutto: lo sgomento di sentir crescere in sé un’altra vita e la paura che suo padre sapesse e la fuga, poi il lavoro tra gli uomini che tendevano le mani ad agguantare, pronti a sferrar pedate per buttar via la donna spremuta. Ma nella voce le cantava anche la fresca gioia d’una parola in cui c’è tutta la luce della vita: mamma» (p. 80).
Ecco la donna che si fa madre, dove una calda e sfrenata volontà di vivere si schiude come un fiore dissetato, che non ha più bisogno di illusioni e promesse, che non deve più dare o seguire. Tuttavia, la scrittrice fende con la punta della penna l’anima accesa di sole, togliendo la vita ai piccoli impuri.
Pia Rimini è una donna che parla di donne senza alcun timore, poiché ella stessa ha vissuto il vuoto afono della tristezza e dell’abbandono, alternati dalla continua fioritura e freschezza della fiducia e della speranza. Forse è questo che accomuna le donne, la forza muta di credere di poter migliorare, di poter essere salde e sempreverdi come le querce al di là della finestra. La comunione con la sublimità della natura è un elemento fondamentale nella scrittura dell’autrice, dove quei corpi dati con amore e ricevuti con bramosia si uniscono segretamente alle cose care del luogo intimo e impalpabile: «[…] nel riflesso del lampione gli alberi mettevano sul bianco del viale delle ombre mutevoli; e ogni albero diceva tante parole, ma tutte diverse. Quando la raffica s’alza tutti gli alberi parlano insieme e la loro voce è tutta un invito: «Vieni. Vieni» (p. 38).
Olga Brandonisio