di Matteo Severgnini
Todaro editore, 2021
pp. 304
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Forse non lo sapete, ma nel Lago d'Orta c'è un drago. Sì, proprio uno di quei bestioni dalla pelle coriacea e dalla schiena irta di spine che terrorizzano la gente sputando fuoco (poi come faccia a sputare fuoco stando sott'acqua non è che l'ho capito bene, ma questo è un'altro discorso).
L'indagine si dipana fra i laghi d'Orta e Maggiore e si spinge fino al confinante Canton Ticino; fin da subito Tobia dovrà orientarsi fra mille reticenze e affrontare sviluppi imprevisti che metteranno a rischio la sua incolumità, oltre che la sua licenza di investigatore privato. Ma allo stesso tempo si guadagnerà la stima e la fiducia imperitura di una bambina intelligentissima e determinata.
Un'ottima seconda prova, questo La regola del rischio, addirittura migliore della precedente, grazie alla maggiore solidità dell'intreccio, alla "normalità" dei personaggi, tutti individui comuni alle prese - non sempre per scelta consapevole - con situazioni scomode e pericolose. Una narrazione più matura, come più maturo risulta il personaggio principale, Marco Tobia, che in questo romanzo acquista spessore proprio attraverso al suo essere un uomo normale, senza che questa normalità scada nella banalità, anzi.
Anche gli episodi legati alla patologia che affligge Tobia - una forma grave della Sindrome di Tourette, che gli provoca improvvisi e incontrollabili spasmi neuromotori - non hanno lo scopo di "colorire" il personaggio, ma al contrario lo rendono drammaticamente reale: una persona come tante, simile a quelle che possiamo incrociare per strada, al bar o dovunque vogliate, che di diverso ha solo una piccola bomba, nascosta in qualche anfratto del cervello, sempre innescata e pronta a esplodere senza preavviso e a rendergli la vita molto difficile, proprio come nella realtà.
Ecco, forse il vero valore aggiunto di questo lavoro sta proprio nella "non perfezione" (studiata, voluta) dei personaggi, che permette al lettore di sentirsi un partecipante attivo della vicenda. Tutto questo, però, non crea un appiattimento da romanzo a storiella da bar, grazie alla presenza di una buona dose di elementi narrativi dinamici che tirano in ballo la necessaria "sospensione dell'incredulità", che ci permette di dimenticare che una botta in testa provoca un trauma cranico con tutte le sue conseguenze o che una ferita di arma da fuoco è qualcosa di potenzialmente devastante. Ma attenzione, questi elementi volutamente poco realistici danno colore (questi sì) e ritmo alla storia, e se non ci fossero ne avvertiremmo in qualche modo la mancanza.
E come nella realtà non sempre tutto finisce bene, non tutte le cose tornano al loro posto, l'imprevisto è sempre in agguato. Fortunati noi in questo caso, perché il finale aperto - anzi, proprio spalancato - costringerà il nostro investigatore a tornare all'opera, e permetterà a noi di seguirlo nella prossima avventura.
Stefano Crivelli