C'è un'Italia passata, che non possiamo recuperare sui libri testo, ma che sopravvive attraverso le storie: solo le narrazioni possono riprendere le tante sfumature, i dettagli di vita quotidiana, i modi di dire, i gusti e le aspettative, le emozioni e le mode,... Ho provato una sensazione di casa, ascoltando l'audiolibro di Se l'acqua ride, il romanzo di Paolo Malaguti letto da Fabrizio Rocchi. Eppure è paradossale, perché non sono veneta, né ho vissuto gli anni Sessanta. Dunque, come è possibile questo senso di familiarità?
Immagino che tutto dipenda dalla capacità straordinaria dell'autore di farci immergere completamente nella famiglia del protagonista, soprannominato da tutti Ganbeto. Quando si apre la narrazione, Ganbeto è in attesa di riprendere la scuola e non ci vuole molto perché scopriamo il suo terrore per il maestro Oio, l'amicizia per il suo compagno Scaia e una certa astratta venerazione per la sua coetanea Beatrice. A casa, ci sono poi mamma, papà, il fratellino Luciano ma soprattutto nonno Caronte: gli uomini della famiglia sono sempre di poche parole, eppure queste risuonano nelle orecchie di Ganbeto (e nelle nostre) con tutta la loro iconicità e pregnanza. Nonno Caronte appare e scompare durante l'anno, perché trascorre la maggior parte del tempo sulla Teresina, il burcio che appartiene alla famiglia e su cui continua a svolgere il suo lavoro di barcaiolo. Un mestiere che richiede coraggio, fatica, lungimiranza, perché molto spesso occorre saper prevedere tanto il tempo atmosferico quanto i possibili incagli sul fondale:
«Lavori come quelli, mestieri da miseria, nessuno li vuole più fare, e chi non entra nella Fabrica, alla meno peggio si fa assumere alle cave, dove l'estrazione va avanti senza sosta, o al massimo prende il treno a Padova e a va a perdersi a Milano o Torino».
Eppure, quando la famiglia decide di affidarlo al nonno e al padre, dopo gli esami di terza, Ganbeto è onorato e felice di salire sulla Teresina, per quanto tutto gli sembri difficile ed estremamente stancante. A suon di "Sacripante!", "Avanti col Cristo che la procession la se ingruma!" e molti altri incitamenti di Caronte, Ganbeto inizia a capire come muoversi senza scivolare, le differenze tra un carico e un altro, e anche noi lettori lo seguiamo alla scoperta di questa nuova vita in barca.
Al di là della formazione del giovane Ganbeto barcaiolo, abbiamo tutte le altre tappe della sua crescita: la scoperta del proprio corpo, un'ingenua e istintiva attrazione per le ragazze e i primi maldestri tentativi di corteggiamento, l'arrivo di interrogativi sul proprio futuro e su quello dell'attività di famiglia. Infatti, con sgomento Ganbeto comincia tardi a capire che il lavoro dei suoi è "residuale", come gli ha detto il maestro, e destinato a scomparire nell'arco di pochi anni. Tuttavia, nonno Caronte non ha intenzione di mollare, e possiamo quasi immaginarlo a bordo della Teresina, con uno dei suoi tanti cappelli regalati da una tale turista o ereditato da un uomo in fin di vita o da chissà chi. Nemesi del ben più famoso omonimo dantesco, Caronte ha la missione di traghettare suo nipote sulla riva dell'adultità: lo responsabilizza con una ruvida sensibilità, così come lo accompagna a diventare un uomo in osteria con un bicchiere di vino nello stomaco e un po' di "salama" prima del carico successivo. «L'è mio nipote. El me fa da morè» risponde Caronte, a chi gli chiede chi sia il ragazzo che lo accompagna, e c'è un certo orgoglio che possiamo immaginare nella sua voce, così come c'è orgoglio in Ganbeto, nel trovarsi accanto al nonno, conosciuto in tutta la laguna veneta. E quando le ragazze iniziano a interessare al giovane, il nonno gli lascia le sue massime di vita in veneto, tra proverbio ed esperienza diretta. E il nipote, effettivamente, ne tiene conto, pur essendo rimestato da una serie di sensazioni ed emozioni ancora incomprensibili.
Se per il Telemaco omerico serve partire di casa e allontanarsi attraverso il mare per diventare un uomo, per il protagonista di Malaguti la barca è la vera e propria dimensione della crescita, zigzagando per la laguna veneta senza mai allontanarsi davvero troppo da casa, il porto sicuro dove fare ritorno, avvertendo - semmai - un po' di mal di terra.
A tratti commovente, altrove divertente nel mostrarci marachelle di Ganbeto ed episodi in cui la mentalità degli anni Sessanta si discosta molto da quella odierna, Se l'acqua ride è un romanzo che profuma di passato (a partire dalla scelta più evidente dell'ambientazione e dell'uso del dialetto per far parlare i protagonisti in famiglia), senza che la narrazione resti mai bloccata nell'acqua melmosa della laguna. Paolo Malaguti, esperto tanto quanto il Caronte del libro, sa come muovere il remo della scrittura sulla pagina, e la navigazione si fa quieta, nostalgica e, talvolta, vigorosa.
GMGhioni
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