Diaz. Processo alla polizia
Ben pochi avrebbero scommesso sulle condanne. Era un processo complicato, in larga parte indiziario, ribaltato in appello dopo un gran numero di assoluzioni in primo grado. Nemmeno un "pentito" tra i dirigenti della polizia e nessuna vera collaborazione dall'istituzione, foss'anche solo per identificare il quindicesimo firmatario dei verbali della perquisizione alla scuola Diaz, finita con 87 feriti di cui alcuni in fin di vita e 93 innocenti arrestati con prove false. Le più incredibili erano due bottiglie molotov, la chiave del processo. (p. 7)
Nei giorni di questo importante anniversario molte voci si confrontano nuovamente sui fatti di Genova per trovare le tessere mancanti di un mosaico che purtroppo ne ha ancora. Non perché manchi la comprensione delle dinamiche in senso stretto - il lungo percorso giudiziario e processuale ne ha rivelate la stragrande maggioranza - ma perché tende a sfuggirci ancora il senso profondo, direi storico e umano, di quanto è successo a Genova. Alessandro Mantovani, giornalista di cronaca giudiziaria che oggi scrive per il Fatto Quotidiano e che ha lavorato a Liberazione, al Messaggero, al Manifesto seguendo le inchieste e i processi per i fatti del G8, è una di queste voci.
Nel 2011 il suo Diaz. Processo alla polizia è arrivato in libreria e ha contribuito a gettare un'importante nuova luce sugli avvenimenti del 2001. Oggi il volume esce in una nuova edizione rivista e aggiornata, edita sempre da Fandango Libri, che preserva la struttura originaria del testo, scritto prima delle sentenze della Cassazione sui fatti di quell'anno, e integrato con prospettive di sviluppo che solo il tempo può regalare in casi come questi.
L'assalto alla scuole, le ferite e le torture di qulle giornate, già anticipate dalla morte di Carlo Giuliani e proseguite poi nell'infernale caserma di Bolzaneto, vengono restituite al lettore in tutta la somma dei loro significati: è stato lo scontro di mondi, il cortocircuito di un universo socio-politico (di triplice dimensione: italiana, europea e mondiale), la fine di un certo ideale di protesta e di partecipazione collettiva, l'esempio di una gestione totalmente fallimentare dell'ordine pubblico.
Due giorni di scontri, 200 arresti, 1000 feriti: un evento bomba in cui tante dimensioni della nostra esistenza civile si sono intrecciate fino a scoppiare, rivelandosi in tutta la loro fragilità di equilibri.
L'approccio dell'inchiesta fornisce al lettore tutti gli elementi per confezionarsi una propria idea sui fatti di Genova, rispondendo puntualmente alle domande, anche a quelle a cui la giustizia non ha trovato (anzi, meglio dire dato) risposta:
La giustizia individua responsabilità penali, non quelle "di sistema" che a Genova furono molte. La polizia ritenne che i condannati avessero pagato abbastanza, se non troppo, che avessero pagato anche per la politica che volle il G8 nel posto sbagliato e la linea dura, per i vertici che non seppero gestirla e per i loro colleghi che fecero di tutto alla Diaz e nelle strade di Genova, ma non ebbero processi, titoli sui giornali, spese legali e per i danni, carriere bloccate o stroncate. Di qui l'estrema benevolenza nei procedimenti disciplinari, innanzitutto autoassolutoria. (p. 16)
Diaz è un libro che parla di un sistema e di conseguenza di responsabilità sistemiche. Perché solo così si può capire la violenza di Genova. Nell'analisi di un sistema fallace e colpevole si comprende come mai anche oggi questo apparato non abbia complessivamente sviluppato anticorpi sufficienti a far sì che una nuova Genova non accada mai più. Siamo qui a sperarlo ma nessuno di noi, nel profondo, può escluderlo.
I codici identificativi sui caschi e sulle uniformi della polizia, che in molti paesi del mondo sono già realtà, in Italia non sono mai stati accettati. E con loro nemmeno i codici di squadra o di reparto.
Dalle carceri arrivano ancora le voci e le immagini di coloro che sono nascosti agli occhi del mondo e subiscono costanti violazioni di diritto. Se è vero che la polizia è una parte importante del volto del nostro paese, allora è chiaro che abbiamo un volto che preferiamo non mostrare alla luce perché sfigurato da qualcosa di troppo grande e bestiale.
Ma è ancora tanta la paura attorno a Genova, e ancora troppo poche le responsabilità realmente assunte. Per questo è fondamentale rileggere i fatti in sequenza ordinata o scomposta, rivedere il sangue sulle strade e il nero dei lividi sui corpi di chi c'era, e soprattutto di chi c'era e oggi non c'è più.
Abbiamo il diritto e il dovere di tornare alla Diaz, ancora una notte e una volta per tutte.
* Diaz - Non pulire questo sangue. Il film, la sceneggiatura, le foto, Daniele Vicari, Fandango Libri
* Black Block - il documentario, Carlo A. Bachschmidt (disponibile insieme al volume La costruzione del nemico a cura di Carlo A. Bachschmidt), Fandango
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