in

L’eterno ritorno a “La casa di Mango Street”: appartenenza e sradicamento nel romanzo di Sandra Cisneros

- -



La casa di Mango Street
di Sandra Cisneros
La Nuova Frontiera, luglio 2021

Traduzione di Riccardo Duranti

pp. 128
€ 15 (cartaceo)
€ 9,49 (ebook)





La casa di Mango Street, di Sandra Cisneros, è un libro pieno di case, persone e vite. Tra tutte, spicca la casa in cui abita Esperanza Cordero in Mango Street, nel barrio chicano di Chicago. Mattoni rossi che si sbriciolano, minuscole finestre contratte nei muri, una porta deforme, quattro olmi che affogano le loro radici nel cemento del marciapiede. «Per il momento, dice la Mamma. È temporanea, dice il Papà. Ma io lo so come vanno queste cose» (p. 9). Benvenuta a Mango Street, Esperanza.

Anche se nativa di Chicago (1954), Sandra Cisneros si è sempre considerata una donna messicana. E da donna messicana ha sempre scritto e osservato la vita che la circonda. La casa di Mango Street, pubblicato per la prima volta nel 1984 (rieditato oggi in Italia da La Nuova Frontiera), è l’esordio che consacra fin da subito la sua fama letteraria, diventando una delle scrittrici più importanti della letteratura chicana. E non a caso. Secondo le parole dell’autrice, il libro parla “di quella parte dell'America che gli statunitensi non nominavano per educazione”. La casa di Mango Street mostra al lettore una faccia della società americana per troppo tempo rimasta nell’ombra dell’egemonia culturale. Dalle pagine trapela la consapevolezza di Esperanza di essere una ragazza messicana sradicata dal suo paese e inserita in un contesto ostile, che la considera un’anomalia cresciuta tra i grattacieli e i fumosi vicoli ciechi della città. Una ragazza chicana che vive nel quartiere sbagliato di Chicago.

Costruito attraverso frammenti di vite individuali che risuonano come un’orchestra latina nel barrio chicano, La casa di Mango Street porta in scena ragazzacce, vecchie streghe, immigrati clandestini, ubriaconi, pagliacci circensi, indovine, vagabondi, mariti violenti, padri possessivi e nonne sdentate che popolano il quartiere dove vive Esperanza. Un libro che funziona per brevi scatti fotografici; i piccoli capitoli immortalano gli abitanti del barrio nella vita di tutti i giorni e raccontano come le loro storie si intrecciano con il quotidiano della ragazzina. Esperanza/Hope. Un nome che – anche a livello grafico – segna la scissione tra due culture, due lingue e due mondi che non sempre riescono a comunicare e capirsi. Esperanza condivide con gli abitanti di Mango Street l’esistenza precaria, lo sradicamento identitario, lo scontro culturale, la violenza, l’insicurezza, la mancanza di una prospettiva per il proprio futuro.
Quelli che non sanno un accidenti entrano nel nostro quartiere spaventati. Pensano che siamo pericolosi. […] Finché tutti quanti da queste parti abbiamo la pelle bruna, siamo al sicuro. Ma se ci vedete entrare in un quartiere d’un altro colore vi accorgerete che le gambe ci fanno giacomo-giacomo, i finestrini delle macchine li teniamo ben chiusi e guardiamo dritti avanti. Già. È così che vanno le cose, sempre così. (p. 31)
È l’intersezionalità delle categoria di razza, classe e genere che sta alla base dell’inconscio della voce protagonista: donna messicana di classe proletaria, Esperanza è per la società americana il soggetto subalterno per definizione, da cui guardarsi e da allontanare. Per sineddoche, Mango Street diventa il quartiere dell’alterità, della marginalità, del rifiuto. Il potere di questo romanzo sta proprio nel dare voce e dignità a questi soggetti che, prima d’ora, erano indicati come l’Altro della società statunitense. Esperanza tesse la sua narrativa, prende la parola e ci racconta la sua vita, i suoi sogni, le sue aspirazioni. Ci descrive la casa che desidera comprare. E descrivendo tutti gli altri abitanti del barrio, Esperanza racconta le loro storie, i loro desideri, le loro paure, le loro speranze. Raccontandoli, riconosce l’umanità negata degli abitanti di Mango Street.

Esperanza Cordero eredita il nome da sua nonna, donna che ha passato la vita a guardare fuori dalla finestra, chiusa in una stanza, annegando nella propria tristezza. «Esperanza. Ne ho ereditato il nome, ma non voglio ereditare il suo posto alla finestra» (p. 13). Esperanza infrange quella finestra, scende in strada e grida al mondo la sua voglia di vivere. Sandra Cisneros dà vita ad romanzo di formazione breve e circolare, fatto di partenze e di arrivi, condito con paura, violenza, sopraffazione, brutalità, ma anche con tanta dolcezza nel seguire la trasformazione di Esperanza da bambina a donna con in mano le redini della propria vita.

Come ogni buon pezzo di letteratura, il romanzo propone un orizzonte democratico di lettura: La casa di Mango Street è un libro agibile e accessibile a tutti i tipi di lettori, scritto con un linguaggio semplice ma mai banale, costruito attraverso brevi schizzi narrativi che riassumono la toccante esperienza umana del barrio di Esperanza, basato su emozioni che permangono ben oltre l’ultima pagina dell’opera. Un libro che si dà spontaneamente al pubblico e che non esclude nessuno dalla sua narrazione. Una vicenda circolare in cui Esperanza capisce che «un giorno avrò una casa tutta mia, ma non mi scorderò mica chi sono e da dove vengo» (p. 95). Una storia che, al di là della sofferenza condivisa, grida ad alta voce: Mango Street vive.

Nicola Biasio