L’Italia della Liberazione in 50 ritratti. 1945-1948
di Paolo Mieli e Francesco Cundari
Illustrazioni di Ivan Canu
Centauria, 2021
pp. 176
€ 19,00 (cartaceo)
Non c’è due senza tre, è proprio il caso di dirlo. E del resto è così che succede quando il debutto –
Storia del comunismo in 50 ritratti – e il bis –
L’Italia di Mussolini in 50 ritratti. 1919-1945 – hanno riscosso così tanto successo da confermare un gruppo di lavoro – il trio composto da Paolo Mieli, Francesco Cundari e Ivan Canu – nella realizzazione di un nuovo volume dedicato ai personaggi che hanno segnato le sorti del Novecento (e della nostra penisola). Pubblicato ancora una volta da Centauria,
L’Italia della Liberazione in 50 ritratti. 1945-1948 è difatti il terzo appuntamento con una tipologia di libro capace di proporre divulgazione e disegno d’autore in parti uguali, senza che né l’una né l’altro coincidano mai con le rispettive varianti deteriori della banalizzazione e del mero accompagnamento visivo. Al contrario, è possibile affermare che proprio quest’ultima prova sia stata forse la più difficile per gli autori, incentrata com’è su un peculiarissimo momento “di cerniera” della storia patria, vale a dire «
quel ristrettissimo giro di anni – solo trentasei mesi: dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948 – in cui l’Italia devastata dalla guerra e da vent’anni di dittatura fascista, appena liberata, seppe rimettersi in piedi e ricostruire le basi istituzionali, economiche e civili della sua rapidissima rinascita» (p. 11).
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Foto di Cecilia Mariani
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Chi ha già avuto modo di leggere i primi due lavori non tarderà a rendersi conto di come il compito dello storico/giornalista (Mieli), del giornalista/autore televisivo (Cundari) e dell’illustratore/scrittore/autore (Canu) sia stato stavolta tanto più complesso quanto più breve l’intervallo di tempo di cui bisognava rendere conto: una complessità, per l’appunto, inversamente proporzionale alle misure da calendario, eredità di un inizio secolo segnato da due conflitti mondiali e da equilibri politici e partitici interni che nel caso nostrano contemplarono, tra le altre cose, anche l’epocale passaggio dalla Monarchia alla Repubblica. Se nel caso del comunismo e del fascismo si era trattato di presentare tutte quelle figure le cui sorti, nel bene e nel male, erano state legate alle rispettive ideologie e ai conseguenti regimi, in questo momento di transizione accade che la grana, per così dire, si raffini ulteriormente e necessariamente. Così, se tutta italiana è, di necessità, la rosa dei protagonisti (come del resto accadeva nel precedente contributo), le identità dei singoli – politici, ecclesiastici, intellettuali, personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, ma a rigore non tutti nomi “pop” nel senso esatto di “popolari ai più” – rispondono non di rado a logiche e a dinamiche partitiche assai sottili (quando non affilate), e talvolta a singoli episodi capaci di determinarne il destino proprio in quella manciata di stagioni.
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Foto di Cecilia Mariani
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Dal momento che non solo squadra ma pure struttura che vince non si cambia, anche stavolta la prima parte del libro è riservata a un’ampia Introduzione, dal titolo La rinascita. Dalla resistenza alla costituzione, articolata in cinque sottocapitoli che seguono il cronologico sviluppo degli eventi successivi alla caduta di Mussolini. Come finisce un regime, Il confine orientale, Trieste, le foibe, Formazione di una classe dirigente: comunisti e cattolici, Le speranze dei partigiani e Il ’48 non sono però dei semplici riassunti, bensì dei tentativi riusciti di far comprendere al lettore la complessità degli eventi anche attraverso il confronto di interpretazioni degli stessi offerte dalla saggistica più recente (e, si badi, non autoreferenziale). Un’impostazione, questa, che sgombera il campo da quelle critiche che considerano tale tipologia di libri una variante in minore rispetto all’approfondimento manualistico vero e proprio, non fosse altro perché proprio in queste prime cinquanta pagine ci si confronta senza sconti con una sequenza di eventi tanto drammatici quanto numerosi e in rapida successione, e come tali impossibili da ridurre in modo “bignamesco”. E difatti, più che limitarsi a restituire in propria prosa quanto accadde (esigenza peraltro schematicamente soddisfatta grazie a un’apposita Cronologia) Mieli e Cundari invitano il lettore a riflettere sui fatti e a problematizzarli, suggerendo approfondimenti necessari i cui titoli e autori sono puntualmente citati in corpo di testo.
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Foto di Cecilia Mariani
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Un ampio commento a parte meritano poi le tavole di Ivan Canu, che di nuovo, in cinquanta occorrenze, dimostrano come l’illustrazione possa emanciparsi dalle più ovvie necessità referenziali, anche e soprattutto in questo format di recente e rinnovato gradimento. Sempre apprezzabili anche solo per ciò che riguarda i valori più tecnici e formali legati alle preferenze stilistiche e compositive e alle scelte di luci e colori, i suoi ritratti d’autore danno il meglio di sé nel momento in cui la loro “terza dimensione” si aggiunge alla superficie piatta della pagina sottospecie di interpretazione, visione, sottotesto e allusione. Perché non c’è personaggio, neppure il meno noto tra quelli omaggiati, per cui venga prediletta l’opzione del ritratto tout court, magari utile a fissarne banalmente i lineamenti nella memoria dei lettori meno specialisti. Tutti, dal primo all’ultimo, sono proposti in una versione non neutrale che è di fatto una versione in più rispetto alla biografia che gli si legge accanto, e che non sente mai il dovere di adeguare se stessa all’oggettività del dettato. E ciò accade, va detto, in una dimensione che appare anche sostanzialmente sciolta dall’obbligo delle aspettative sempre e comunque comiche, grottesche e satiriche che per consuetudine accompagnano l’illustrazione a tema politico.
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Foto di Cecilia Mariani
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Molteplici, tra gli altri, sono i riferimenti di tipo artistico, con citazioni esplicite alternate a suggestioni più vaghe, ma sempre con funzione in qualche modo di contrappunto: così, mentre una matura Tina Anselmi guarda la versione “banksyana” di se stessa in qualità di staffetta partigiana in bicicletta (nome di battaglia Gabriella), Italo Calvino può scrivere Il sentiero dei nidi di ragno, il suo romanzo sulla resistenza, galleggiando in un paesaggio senza gravità che ricorda le illustrazioni di Moebius, e Vittorio De Sica, decano del neorealismo fatto film, può godersi da parte sua una pausa di relax con caffè e pasticcino in un caotico interno domestico con affaccio sui tetti che mima a perfezione un quadro di Guttuso. Tutt’altro aplomb, invece, quello di Gino Bartali, che con fare pensoso e sornione degno di un certo Marcel, padre del dadaismo, fuma una sigaretta seduto sul piedistallo di una ruota di bicicletta di duchampiana memoria, indossando con nonchalance un completo composto da giacca, cravatta e… aderenti calzoncini da gara. Ancora più sottile l’allusione riservata al "pio" Alcide De Gasperi, incastonato al centro di una coloratissima vetrata gotica, sgargiante di luce spirituale e temporale: un vero e proprio DEUS SERVUS che, complice la formalità del completo d’ordinanza, quasi ricorda l’irriverenza ben poco ieratica di certi lavori del duo britannico Gilbert & George.
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Foto di Cecilia Mariani
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A volte, poi, le contaminazioni si risolvono in vere e proprie sostituzioni: il volto di Emilio Lussu, a rimarcarne l’origine sarda, si innesta molto opportunamente sul corpo del pastore seduto a gambe incrociate in una celebre incisione del corregionale Mario Delitala; i tratti adulti di Pietro Nenni prendono il posto di quelli infantili di un Charlie Brown protagonista di un fumetto ribattezzato Psinutsa, che con sguardo in camera sosta di fronte all’iconico banchetto della psicanalista Lucy (anche se “THE DOCTOR” stavolta “IS NOT IN”) per dire a gran voce: «O la Repubblica o il caos!». E tuttavia, anche quando questo non accade e l’illustratore procede libero e autonomo sulla via dell’interpretazione personale, il risultato è sempre efficace, brioso oppure ombroso all’occorrenza, come dimostrano le rappresentazioni antitetiche di due attrici culto del periodo come Gina Lollobrigida e Anna Magnani: da una parte la prima – unico individuo ancora in vita tra quelli protagonisti del libro – presentata come la sorridente e proteiforme bambola di carta che ogni bambina può acconciare con parrucche e abiti di scena (The Golden Age of Loll Art); dall’altra la seconda, prontamente corrucciata, pensierosa come una statua di Rodin, che scruta chissà quali orizzonti dall’interno del suo appartamento borghese in compagnia degli amati animali domestici mentre il suo alter ego cinematografico Teresa Gullace, eroina tragica di Roma città aperta, sembra volerla raggiungere di corsa sfondando il vetro di una finestra a ghigliottina.
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Foto di Cecilia Mariani
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Ironia e rispetto, leggerezza e gravità si alternano in questi ritratti che sono storie nelle storie, vere e proprie parodie (nel senso etimologico di “canti paralleli”) rese ora con estrema sintesi ora con esubero di dettagli: per “l’uomo qualunque” Guglielmo Giannini che campeggia sulla copertina di un Giallo Mondadori c’è la solitudine di una Nilde Iotti virata in rosso seduta nel grigiore di una platea di scranni vuoti; per una Lina Merlin che guarda attraverso un buco di serratura tenendo una chiave in mano e ricordandoci con non poca malizia la diatriba tra case aperte/case chiuse c’è un Primo Levi ritto in piedi in coincidenza con il punto di fuga dell’inquadratura, intento ad osservare la mostruosa metamorfosi di un binario ferroviario in profilo umano; per l’essenzialità di un Cesare Pavese che guarda la sua ombra proiettarsi su una grande curva nera che riempie mezza pagina – una macchia che sa di corso d’acqua notturno, di gorgo scuro in cui si scende muti, di un panta rei che porta via con sé tutto, non ultima la vita – c’è l’equivoco e compromettente e cesellatissimo copricapo di Pio XII, che gli grava sul cranio (ed evidentemente sulla coscienza) come una congrega di pensieri ben poco stupendi.
Chi ha già apprezzato i primi due volumi di questa “collana nella collana” della casa editrice Centauria non perderà dunque l’occasione di continuare l’approfondimento della storia patria del secolo scorso così come finora condotto da Mieli, Cundari e Canu. Proprio la natura “attiva” delle illustrazioni di quest’ultimo – la stessa che illumina la mente del lettore che ne sappia accendere la lampadina del quid, ovvero la sapienza nell’utilizzo delle citazioni, delle forme espressive dirette/indirette e degli artifici retorici – rende poi questo volume (e i suoi precedenti) molto adatto anche per un utilizzo didattico nella scuola superiore di secondo grado, sia per i docenti di storia sia per quelli di educazione all’immagine e di storia dell’arte. Per spiegare il Novecento in classe, come si sa, i contributi visivi e audiovisivi non mancano di certo, ma queste tavole rappresentano a propria volta un’interessantissima modalità di accesso critico per affrontare eventi e personaggi troppo spesso consegnati al (seppur fascinoso) vintage della bidimensionalità fotografica o del filmato d’epoca. Arrivati all’ultima pagina si resta dunque in fiduciosa attesa della seconda metà del XX secolo, di un nuovo racconto con parole e immagini delle sue ulteriori e specifiche forme di “liberazione” e (non di meno, perché ce ne furono) di “schiavitù”. È difatti da credere, con relativo auspicio, che questa sia solo l’ultima momentanea tappa di un percorso narrativo esplorato con andatura originale, che molti altri eventi e molti altri nomi potrà evidentemente incontrare in relazione all’Italia del boom, a quella dei cosiddetti anni di piombo, e poi ancora dei decenni Ottanta e Novanta: che l'ars sia longa, dunque, e giustappunto, ancora una volta, in memoria (e analisi critica) del secolo più brevis.
Cecilia Mariani
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