La storia del jazz in 50 ritratti
di Paolo Fresu e Vittorio Albani
illustrazioni di Riccardo Gola
Centauria, 2021
pp. 180
€ 19,90 (cartaceo)
Una persona nota a chi scrive questo commento, per la precisione un fotografo a cui per lavoro era capitato di documentare eventi musicali live, ripeteva sempre, con un certo sprezzante fastidio, che era proprio vero che il jazz fosse un po’ come il tennis. Non tanto per le similitudini riscontrabili tra il genere musicale e quello sportivo, ma perché dal suo punto di vista era ovvio che “il gusto” fosse tutto appannaggio di chi suonava/cantava/giocava, e che quelle sessioni e quelle partite, accomunate da una serie di rimandi e rimpalli la cui decodifica era un mistero per i più, fossero in realtà un mero sfoggio di competenze elitarie, uno show presuntuoso, e per giunta non poco costoso, che in realtà poteva fare benissimo a meno del pubblico: se la gestissero tra di loro e basta, insomma, ché tanto, spettatori o non spettatori, era lo stesso. Certo, forse pensando a certo jazz e a certo tennis il carattere esclusivo non era (e non è) un’impressione poi così distante dalla realtà, ma proprio per questo era ovvio che al tempo nemmeno lui avesse ben presente la storia del jazz, e dunque la sua origine e la sua evoluzione (che furono tutt’altro che slegate dalla realtà dei suoi esecutori e fruitori, anzi). A volte si ha semplicemente la ventura di imbattersi in qualcosa di nuovo a partire dalle sue forme più sofisticate, estreme o sperimentali, con effetti di puro respingimento. Ma altrettante volte, al contrario, il risultato può essere uno shock che trasforma di colpo la percezione, una fascinazione attrattiva destinata a cambiare per sempre la propria vita.
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Foto di Cecilia Mariani
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È quello che si scopre leggendo un libro appena pubblicato dalla casa editrice Centauria come La storia del jazz in 50 ritratti, scritto a quattro mani da Paolo Fresu e Vittorio Albani – due firme che, per l’appunto, “fanno subito jazz” – e arricchito dalle illustrazioni di Riccardo Gola. Una guida che è il vademecum perfetto da sottoporre sia agli scettici/riottosi/ignoranti in materia, sia a coloro che vogliono sentirsi raccontare una versione dei fatti da due professionisti evidentemente molto ben informati in proposito. Una specie di compendio, dunque, che non è certo la prima esperienza in prosa da parte degli autori (diversi i titoli sull’argomento già dati alle stampe da Fresu, di lungo corso l’attività di giornalista e scrittore di Albani e le sue collaborazioni con testate di settore quali «Musica Jazz» e «All About Jazz»), ma che si propone come una novità per struttura e contenuti, pur replicando la recente formula di successo del libro illustrato riguardante una precisa tematica e le sue più importanti “incarnazioni”.
In apertura, sotto le mentite spoglie della semplice Introduzione, ecco dunque quella che in realtà è Una storia del jazz – ovvero solo una delle storie possibili, per così dire una sua versione – restituita attraverso l’esperienza di uno dei suoi più acclamati ambasciatori viventi: un racconto che Paolo Fresu dedica a sé e a come l’incontro con questo genere, avvenuto alla fine degli anni Settanta, sia stato per lui l’inizio di un’autentica avventura ancora in corso, e insieme il tentativo di riepilogare in poco meno di sessanta pagine le principali tappe del cammino della musica afroamericana a vantaggio di un pubblico il più ampio e variegato possibile. Un viaggio personale, quello del musicista di Berchidda, che dalla provincia sarda e dalla meraviglia infantile per un mangiadischi color verde pisello che sembrava magico (e che come tale viene ancora gelosamente custodito), porta il suo protagonista, già suonatore nella banda del paese o nei gruppi da ballo, a spostarsi di città in città, di nazione in nazione e poi di continente in continente; un percorso che lo vuole studente, docente, performer e direttore artistico, con centinaia di concerti e registrazioni di album all’attivo.
Insieme al racconto di questo iter (che poi è anche cursus honorum) il trombettista conduce e insegue quello del jazz in sé, di «una musica sfuggente, che cammina convulsa in tutta fretta» (p. 46), di quattro lettere al cui interno c’è tutto il mondo; un mondo forse inesprimibile a parole nella sua vera essenza, e che per questo ha bisogno di affidarsi al conforto di date, nomi, eventi. Perché ogni tentativo di spiegare il jazz, tecnicismi a parte, risultata vago, insoddisfacente, evasivo, e come tale perfettamente identico alla sua natura in perenne trasformazione: «il jazz» ricorda Fresu con una metafora geologica che mette l’accento su un’essenza fatta di epicentri, scosse e continue rotture di equilibri, «è un linguaggio che si evolve con il tellurico movimento del mondo, che passa di bocca in bocca e di strumento in strumento, trasformandosi con il tempo» (p. 44).
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Foto di Cecilia Mariani
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A seguire le parole di Fresu ecco poi quelle di Vittorio Albani, corredate dalle illustrazioni di Riccardo Gola dedicate ai cinquanta ritratti a cui fa riferimento il titolo del volume. Sono biografie in miniatura, in formato pagina, con immagine a fronte: esercizi di sintesi che la nota firma del giornalismo musicale sa bene di compiere all’interno di una misura data e che a stento può contenere e rendere giustizia a personaggi le cui esistenze furono (o sono) sempre larger than life; un po’ lo stesso limite che, d’altra parte, ha portato a ridurre a sole cinque decine il numero dei più importanti nomi del jazz mondiale e a distillarli in un elisir purissimo, essenziale e imprescindibile. Per ogni musicista e interprete (la proporzione, per far parlare eloquentemente anche i numeri, è di 46 uomini e 4 donne: Ella Fitzgerald, Carla Bley, Billie Holiday, Bessie Smith), Albani riesce tuttavia a restituire un’identità che non è mai un identikit, un profilo che non è mai una scheda, ma si pone nei confronti dei lettori con le parole giuste, scelte, come se stesse presentando loro una persona rara e speciale oltre che un artista, qualcuno di cui vale la pena conoscere la storia e a cui la vita e la musica hanno in eguale misura dato e tolto.
Come è ovvio immaginare, dovendo inserire in elenco coloro che hanno fatto la storia del jazz, non è stato possibile non andare indietro nel tempo fino alle origini stesse del genere musicale. Per questo, sebbene non manchino le storie di artisti incredibili ma più “recenti” (Chick Corea, Jaco Pastorius, Michel Petrucciani) e viventi (Jan Garbarek, Pat Metheny, Enrico Rava), a occupare grande spazio sono i grandi padri e le grandi madri, personaggi i cui nomi e cognomi – alla pari delle loro sembianze ed esecuzioni strumentali e vocali – godono ormai di una conoscenza universale e trasversale. Ci sono tutti: Louis Armstrong, Chet Baker, Ornette Coleman, John Coltrane, Miles Davis, Duke Ellington, Benny Goodman, Thelonious Monk, Lester Young… Mostri sacri, senza se e senza ma, che anche Riccardo Gola contribuisce a fissare nella memoria del lettore, soprattutto di quello più inesperto, con illustrazioni in cui alla definizione più precisa e naturalistica dei volti si affianca il suggerimento di corpi e strumenti attraverso campiture piatte di colore e l’ingrandimento, sullo sfondo, di un elemento esemplificativo del personaggio, reso attraverso una scritta o una semplificazione grafica e lineare a contrasto: le bottiglie di liquore che condannarono Bix Beiderbecke a una morte precocissima, il manifesto dell’opera Porgy and Bess che consacrò per sempre George Gershwin, il modellino di una balenottera 3D in ricordo dei cinquantasei cetacei andati a spiaggiarsi sulle coste messicane proprio il giorno della morte di Charles Mingus (che aveva per l’appunto quello stesso numero di anni), l’uccellino stilizzato in omaggio a Bird, il soprannome per eccellenza di Charlie Parker…
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Foto di Cecilia Mariani
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La storia del jazz in 50 ritratti è fin dal suo titolo un libro che fa cifra tonda, ed è, allo stesso tempo, un libro che “non chiude” (né i conti, né gli elenchi). Non solo e non tanto perché la consapevolezza autoriale della non esaustività, dichiarata fin dall’apertura, si concretizza nell’inclusione di due pagine finali in cui chi legge può aggiungere di proprio pugno i nomi e cognomi dei “suoi” 50 (o comunque annotare riferimenti a decine di altri protagonisti del settore), ma perché per certi versi sono proprio il fiat dell’apertura, il gusto del non-finito (da non intendersi, si badi, come resa all’incompiuto) e soprattutto il piacere (si perdoni la tautologia) dell’ad libitum a porsi come caratteristiche basilari della natura di questo genere musicale che come e più di altri è anche stile di pensiero e di vita. Ad ogni modo, il volume pubblicato da Centauria si presta a una varietà di approcci: leggendolo, chi conosce e ama il jazz potrà fare un bel ripasso guidato, chi non lo conosce e non lo ama potrà dargli una chance grazie a due narratori e a un illustratore d’eccezione, e chi invece desidera saperne di più ci troverà le prime essenziali coordinate conoscitive, oltre a decine e decine di suggerimenti bibliografici e cinematografici. Perché al netto dei giochi di parole, proprio la conoscenza del jazz è di quelle che non si possono improvvisare: il racconto di Paolo Fresu e i medaglioni biografici compilati da Vittorio Albani lo testimoniano a perfezione, lo ripetono cinquanta e una volta, pur invitando comunque a non dimenticare che l’autentica comprensione di questa musica sta tutta nel suo sentimento interiore oltre che auricolare, e in quelle che potrebbero ben definirsi la sua intuizione e indovinazione, così ben espresse dalla celebre citazione di Louis Armstrong posta in apertura, in cui la retorica domanda «Cos’è il jazz?» aveva per l’inimitabile Satchmo un’unica risposta possibile: «Amico, se lo devi chiedere, non lo saprai mai». La storia del jazz in 50 ritratti è un libro che invita all'ascolto interessato, un omaggio dall'interno e tutt'altro che al di sopra delle parti nei confronti di un genere che, nelle parole di Paolo Fresu, «in questi oltre cento anni ha cercato con coerenza il non conosciuto, per poter essere sempre se stesso. Un movimento musicale, culturale e umano che ci accompagna per la vita» (p. 57).
Cecilia Mariani