Che la vita sia piena di qui pro quo di senso Gesualdo Bufalino sembra dircelo in tutte le sue opere principali. Scrittore abituato a giocare con i destini dei personaggi, la lingua e i registri, si diverte a tessere attorno al lettore una trama fitta di riferimenti intertestuali e di richiami tra letteratura e mondo, in un mondo che per lui era fatto in gran parte di materia letteraria.
Ma c'è un libro che lo scrittore di Comiso ha intitolato appunto Qui pro quo, edito da Bompiani nel 1991, che sembra proprio teorizzare l'arte dell'equivoco esistenziale mutandola in un fine gioco di inversioni e sovrapposizioni. È un giallo, il che è un fatto insolito per lui, "un'escursione domenicale" in un territorio diverso dal consueto, si legge nella quarta di copertina della prima edizione che con fortuna ho trovato in una libreria specializzata in modernariato. Che giallista sarà Bufalino?, mi sono chiesta prima di iniziare la lettura. La risposta è: colto, ironico, divertente. Insomma, un giallista alla sua maniera.
Ma quel che più convince è che l'autore sembra anche divertito da questa storia e dal suo mistero, finendo così per conquistare il lettore che si lancia con lui nella risoluzione dell'enigmatico qui pro quo.
Ma c'è un libro che lo scrittore di Comiso ha intitolato appunto Qui pro quo, edito da Bompiani nel 1991, che sembra proprio teorizzare l'arte dell'equivoco esistenziale mutandola in un fine gioco di inversioni e sovrapposizioni. È un giallo, il che è un fatto insolito per lui, "un'escursione domenicale" in un territorio diverso dal consueto, si legge nella quarta di copertina della prima edizione che con fortuna ho trovato in una libreria specializzata in modernariato. Che giallista sarà Bufalino?, mi sono chiesta prima di iniziare la lettura. La risposta è: colto, ironico, divertente. Insomma, un giallista alla sua maniera.
Ma quel che più convince è che l'autore sembra anche divertito da questa storia e dal suo mistero, finendo così per conquistare il lettore che si lancia con lui nella risoluzione dell'enigmatico qui pro quo.
Siamo nel cuore dell'estate, ci troviamo nella villa (anzi, sarebbe meglio dire nelle ville) al mare di un prestigioso editore di nome Medardo Aquila. È lui la vittima di questo libro. Ucciso da quello che potrebbe essere insieme un tragico incidente, un suicidio o la macchinosa trovata di qualcuno che aveva dei conti in sospeso con lui, l'editore ormai defunto getta nel panico gli ospiti della villeggiatura, una serie di personaggi che potrebbero sembrare a prima vista delle macchiette ma che poi risultano spiccatamente tridimensionali pur nelle loro fugaci apparizioni (tra di loro familiari dell'editore, la direttrice editoriale della casa editrice, uno scultore, una pittrice, un prete spretato, un servo, e un busto di Eschilo).
Li getta nel panico perché dopo la sua scomparsa è lui a seminare degli indizi sul caso, lasciando delle misteriose lettere che parlano di quanto è avvenuto e che danno interpretazioni ogni volta diverse. Un morto che parla, si sa, può essere assai scomodo, soprattutto se la sua parola genera continui malintesi. Ma alla fine, tra un'inversione di senso e l'altra, si arriva a una soluzione che ci appare in fondo una delle tante possibilità di snodo in un mondo di destini incrociati. Bufalino sembra dirci che è plausibile, ma che non è la sola.
La voce narrante di questo romanzo è intrinsecamente il suo aspetto più interessante: a scrivere e narrare è Esther Scamporrino, la segretaria di Medardo Aquila, una donna di mezza età, "nubile di poche grazie e di molte virtù", che ha un giallo nel cassetto e che per questa sua passione viene soprannominata Agatha Sotheby. Nella sua voce l'autore infonde ironia allo stato puro, regalandole il ruolo di indefessa investigatrice e di aspirante scrittrice.
Maestro della citazione, Bufalino recupera stilemi e meccanismi tipici del giallo classico - quello della Christie di Poirot per intenderci - ma li rielabora in soluzioni tutte sue, in "ingegnerie di intreccio".
Il suo omaggio però non va solo alla Regina del giallo: nel libro ci sono anche Marlowe, la tragedia greca e la patrologia. Ne viene fuori un teatro, universo tanto caro sin dai tempi antichi a tutti gli autori siciliani, in cui ogni personaggio è esso stesso un qui pro quo per le maschere che porta. Un mondo di buffi teatranti in cui ogni notte è piena di menzogne e dove narrare significa sempre fare accadere qualcosa.
La voce narrante di questo romanzo è intrinsecamente il suo aspetto più interessante: a scrivere e narrare è Esther Scamporrino, la segretaria di Medardo Aquila, una donna di mezza età, "nubile di poche grazie e di molte virtù", che ha un giallo nel cassetto e che per questa sua passione viene soprannominata Agatha Sotheby. Nella sua voce l'autore infonde ironia allo stato puro, regalandole il ruolo di indefessa investigatrice e di aspirante scrittrice.
Maestro della citazione, Bufalino recupera stilemi e meccanismi tipici del giallo classico - quello della Christie di Poirot per intenderci - ma li rielabora in soluzioni tutte sue, in "ingegnerie di intreccio".
Il suo omaggio però non va solo alla Regina del giallo: nel libro ci sono anche Marlowe, la tragedia greca e la patrologia. Ne viene fuori un teatro, universo tanto caro sin dai tempi antichi a tutti gli autori siciliani, in cui ogni personaggio è esso stesso un qui pro quo per le maschere che porta. Un mondo di buffi teatranti in cui ogni notte è piena di menzogne e dove narrare significa sempre fare accadere qualcosa.
Edizione di riferimento: Gesualdo Bufalino, Qui pro quo, Bompiani, 1991
Questi i giocatori della partita. E una partita mi parve subito, obbediente a regole, cerimoniali, scadenze: il bagno o il solarium o la gita in barca durante la tarda mattina; il pranzo al ritorno, generalmente a due a due, ciascuna coppia nella sua villetta; la cena in comune [...] C'era chi si lasciava convincere dalle lusinghe della siesta, chi dalla ripicca agonistica: canaste infinite in terrazza, fra silenzi di tomba ed escandescenze in bettola; gare di scacchi sotto gli alberi, Apollonio contro Medardo. (p. 19)
Il fatto è che l'uomo sin dall'età delle caverne nel disbrigo d'ogni sua pratica di sopravvivenza, dal coito alla caccia, s'è sempre ritrovato attore d'una recita in tre tempi, di cui il primo comprende un disagio, il secondo un agone, l'ultimo un appagamento. La stessa dialettica di oscurità, tensione e luce che mi pare intrinseca del giallo... (p. 28)
Lo scambio di persona, vedi, è l’essenza non solo d’ogni pochade ma d’ogni enigma che si rispetti. A cominciare dalla creazione, la quale nessuno mi toglie dal capo sia stata frutto d’un colossale malinteso, d’una apocalittica svista… Per finire ai più spiccioli ‘l’un per l’altro’, che ci occorrono ogni giorno davanti agli occhi e che spesso interpretiamo a rovescio. Sapessi tu quanti mulini, a guardar meglio, sono veramente giganti; quante lucciole sono veramente lanterne! (p. 48)
A cura di Claudia Consoli
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