Giolitti. Un leader
controverso
di Massimo L. Salvadori
Donzelli, 2020
pp. 212
€ 30,00 (cartaceo)
€ 19,99 (ebook)
È stato grazie al mio bravo
insegnante di storia e filosofia del liceo che ho iniziato a essere affascinata
dal personaggio e dal ruolo storico di Giovanni Giolitti. Ricordo ancora una
vignetta satirica riportata sul libro di testo che mostrava lo statista in
veste di Giano bifronte, borghese con i borghesi e socialista con il popolo. Ricordo
anche, ma questa è un’altra storia, il viaggio di maturità a Roma con le compagne
di classe più care e il gelato di un altro Giolitti, che proprio per il nome ci
era sembrato molto benaugurale – un cin-cin con cono all’anguria in onore degli
studi da poco conclusi.
Sono trascorsi ormai molti
anni, ma non è diminuito l’entusiasmo. Il libro di Massimo L. Salvadori, edito
da Donzelli, si è prestato dunque perfettamente all’approfondimento del tema,
offrendo un ritratto ricco e articolato non solo del liberale piemontese, ma
anche della ricezione storiografica della sua immagine e del suo operato.
Tante cose si possono dire di
Giovanni Giolitti, ma non che non avesse un’idea
politica chiara, perseguita con coerenza nel lungo periodo che venne poi
definito “età giolittiana”, ovvero quegli anni difficili e tumultuosi che vanno
dal primo Novecento alle soglie della Prima guerra mondiale: egli credeva in
uno Stato liberale, monarchico, prudente nella politica estera per non
compromettere una indipendenza ancora giovane, e soprattutto attento al
problema sociale, per evitare quelle tensioni interne che avrebbero impedito il
raggiungimento di una tanto auspicata concordia. Al contempo, e questo fu uno
dei motivi per cui fu più spesso attaccato, non venne mai meno in lui la necessità di fare i conti, realisticamente,
con le esigenze e le istanze, le difficoltà e le contraddizioni di un paese che
stava cambiando. Proprio alla lucida consapevolezza con cui guardava allo
scenario socio-politico italiano si deve una delle sue frasi più celebri,
sfruttata poi da chi volle accusarlo di trasformismo senza scrupoli: “Il sarto che ha da vestire un gobbo, se non
tiene conto della gobba, non riesce” (p. 77). Ecco allora l’esigenza
di cercare spesso una via del
compromesso e di cambiare la propria posizione se la situazione lo
richiedeva, nell’ottica di un progresso e di uno sviluppo generali della
penisola, di cui egli si fece promotore negli anni del suo governo.
Punto di forza del saggio di
Salvadori è il continuo riferimento alle
fonti, che vengono chiamate a parlare direttamente attraverso ampie
citazioni. Si avverte chiaro inoltre il tentativo dello studioso di spiegare,
documenti alla mano, le ragioni non immediatamente visibili di alcune scelte
impopolari, o apparentemente contraddittorie, di Giolitti, come la mancata
campagna contro i latifondi al Meridione, o la scelta di non schierarsi con la
maggioranza parlamentare contro l’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra
mondiale, pur essendo un convinto neutralista. Il lettore si rende conto in
questo modo che, al di là delle inevitabili semplificazioni dei libri di scuola,
quasi tutte le decisioni dello statista furono frutto di ben precise
riflessioni, che tenevano conto di molteplici fattori.
Per quanto riguarda la
scansione dei capitoli, l’opera si presenta organizzata in maniera chiara e razionale: dapprima una
contestualizzazione storica relativa all’età giolittiana, dopodiché una estesa descrizione
del pensiero e della strategia politica del capo di governo, infine una
rassegna delle variegate interpretazioni
che del suo operato sono state fornite dai suoi contemporanei che nella
storiografia successiva. Tante e tali sono le facce di questo poliedro che non
è facile riunirle in uno sguardo unitario, eppure l’autore procede con metodo,
realizzando un’opera che risulta
accessibile anche ai profani, purché siano appassionati di storia – per chi
non dovesse esserlo, una trattazione tanto dettagliata rischierebbe di
risultare invece troppo specialistica.
Uno degli aspetti che viene affrontato è quello dell’autorappresentazione di Giolitti nelle Memorie redatte dal suo caro amico Malagodi, rilevanti non solo in
quanto fonte primaria e indicazione di una precisa percezione che il leader
aveva di se stesso, ma anche per il quadro che forniscono sull’ascesa e il
declino della formazione liberale in Italia, nonché per i lucidi ritratti dei
principali protagonisti della politica di quegli anni. Al contempo, una
rassegna dei carteggi ci mostra in modo chiaro la sua personalità decisa, ma
anche la sua ironia e la sua cultura. Ben più articolato è invece il panorama
delle opinioni altrui:
Tra i suoi contemporanei Giolitti ebbe pochi tiepidi avversari o sostenitori. La forza della sua personalità e l’importanza del ruolo avuto nella storia d’Italia furono tali da portare alla formazione di due fronti nettamente opposti: antigiolittiani critici in alcuni casi fino alla ferocia e filogiolittiani il cui atteggiamento giungeva alla vera e propria devozione. (p. 81)
Giolitti ebbe quindi grandi alleati e
grandi rivali e risulta quasi surreale leggere come potesse essere
accusato, da nemici appartenenti a fronti opposti, di una cosa e del suo esatto
contrario.
Uno dei personaggi più ostili
fu lo storico meridionalista Gaetano
Salvemini, da cui derivano alcune delle definizioni critiche più note
relative allo statista piemontese, apostrofato come il “ministro della
malavita”, o il “Giovanni Battista” di Mussolini. Non meno accaniti furono
però, per motivi differenti, altri come don
Luigi Sturzo, leader del nuovo Partito Popolare cattolico, molto influente nello
scenario politico, o Antonio Gramsci,
che vide in lui un machiavellismo privo di slanci ideali.
Una delle questioni più
indagate dalle fonti, e sotto differenti prospettive, è quella relativa al
rapporto tra Stato liberale e Stato fascista, al modo in cui sia stato possibile
passare dall’uno all’altro. Essendo una delle personalità di maggior rilievo
nel primo ventennio del Novecento, Giolitti si inserisce al cuore di questo
periodo di transizione e, come per tutto ciò che lo riguarda, non mancano tanto
i detrattori quanto i difensori.
A segnalare il persistente
interesse per il personaggio, nell’ultima parte del saggio Salvadori esplora
una serie di interventi della storiografia più recente che, a partire dagli anni ‘60, inizia ad
avere un approccio più ponderato e
integrale alla figura dello statista:
Si sono dovuti attendere gli anni sessanta perché le accese polemiche sull’opera di Giolitti subissero una sorta di decantazione e si facesse avanti una generazione di studiosi il cui spirito e approccio fossero tali da lasciare da parte il compito di attaccare lo statista piemontese oppure di difenderlo. (p. 176)
È grazie alle opere di questi
studiosi che, pure nelle varie interpretazioni, è possibile leggere retrospettivamente e globalmente
l’operato del leader controverso,
e spiegarsi con maggior chiarezza le ragioni per cui intorno a lui si è coagulato
un dibattito così aspro ad oggi non ancora completamente risolto.
Carolina Pernigo