Delitto in Cornovaglia
di John Bude
Antonio Vallardi editore, 2021
Traduzione di Alessandra Maestrini
pp. 272
16,90€ (cartaceo)
8,99€ (e-book)
di John Bude
Antonio Vallardi editore, 2021
Traduzione di Alessandra Maestrini
pp. 272
16,90€ (cartaceo)
8,99€ (e-book)
Mi sono sempre chiesto da cosa si possa giudicare un romanzo mistery, giallo classico o deduttivo che dir si voglia. Dalla trama e dallo stile? Dai dialoghi volti a sottolineare le capacità deduttive e dalla descrizione dei personaggi? Dall’insieme di tutte queste considerazioni? O dall’enigma e, quindi, dal fatto se il lettore riesce o meno a capire chi sia l’assassino prima che venga spiattellato dall’investigatore di turno? In quest’ultimo caso, però, intervengono troppe variabili esterne al testo, troppe situazioni che minano la corretta analisi dell’opera. Certo, perché dipende dalle capacità deduttive del lettore, dalla sua volontà di mettersi in gioco, dalla sua attenzione e, perché no, anche dalla sua capacità di ricordare eventi minimi della trama. Non sono certo se tutto questo mio rimuginare non sia altro che un riverbero di qualche lettura lontana o se sia effettivamente tutta farina del mio sacco; in ogni caso poco importa, anche perché non si può pretendere di dare un giudizio ragionevole senza rapportarsi a ciò che hanno pensato e detto altri, senza un po’ di studio, o almeno senza ricercare un certo metodo. Tuttavia, ancora oggi non so con precisione che cosa mi stimoli maggiormente e che cosa io ricerchi in un poliziesco. Ognuno ha le proprie ossessioni e i propri piaceri, ed è giusto che sia così. A me affascina l’idea di essere parte del romanzo, l’idea di essere considerato dall’autore durante la scrittura, essere sfidato, anche apertamente. Un tempo avrei detto che ciò che è fondamentale è partecipare alla sfida, cercare di capire, vincere magari contro il detective, contro il narratore e, perché no, anche contro l’autore del romanzo. In questo caso, allora, il giudizio non poteva che dipendere dalla risposta che davo all’ultima domanda.
Forse, allora, è per questo mio vecchio rapporto col genere che ho provato da subito interesse per il reverendo Dodd, il protagonista (o co-protagonista?) di Delitto in Cornovaglia, riproposto questo luglio a distanza di molti anni da Vallardi editore. Anche lui, infatti, è un avido lettore di romanzi polizieschi, anche lui ama sfidare l’opera che sta leggendo e ama cercare di capire chi sia l’assassino prima della fine del romanzo e prima del suo amico-rivale, il dottor Pendrill. La loro è una tenzone deduttiva, una vera e propria sfida cortese di logica, che si dipana di settimana in settimana per ammazzare la noia di una vita in un piccolo comune della Cornovaglia. E il più delle volte a vincerla è proprio il reverendo Dodd con quella che lui chiama «deduzione intuitiva», un modo di ragionare razionalmente che, però, fa affidamento all’intuito: prima di farsi portare dalle prove, il reverendo Dodd si basa sull’intuizione per limitare il campo dei sospettati. Solo in un secondo momento fa affidamento alle tecniche deduttive per scovare l’assassino e il suo modus operandi. È questo metodo che lo porta a scovare, nel caldo del focolare e prima del suo rivale (e della fine del romanzo), l’assassino del giallo di turno. Ma la routine calma e sonnacchiosa del piccolo comune di Boscawen è improvvisamente rotta dall’omicidio di Julius Tregarthan, un magistrato del posto trovato morto nella sua casa. Per la prima volta il reverendo Dodd si trova a dover usare le sue capacità logiche in un caso reale di omicidio e lo fa con un acume degno di nota, sfruttando il suo sistema deduttivo-intuitivo. Sarà infatti proprio con il suo modo di pensare che il reverendo spingerà l’ispettore Bigswell, l’ufficiale chiamato a risolvere il caso, a escludere da subito alcuni dei sospettati dell’omicidio e, infine, a sciogliere il mistero.
Questo romanzo d’esordio di John Bude (pseudonimo di Ernest Carpenter Elmore, autore di oltre trenta romanzi polizieschi e uno dei fondatori della Crime Writer’s Association), uscito nel lontano 1935, si legge bene, facilitato anche dalla traduzione puntuale di Alessandra Maestrini e dallo stile scorrevole e minuzioso, nonostante abbia il ritmo ormai retrò dei primi romanzi gialli deduttivi, cosa chea me non dispiace per nulla. Però, leggendo Delitto in Cornovaglia, non ho sentito la sfida, non perché non sono riuscito a capire chi fosse l’assassino – non era possibile, poiché gli indizi disseminati erano insufficienti: si poteva capire solo chi non poteva essere –, ma perché non mi sono sentito chiamato in causa, non sono stato preso in considerazione dall’autore. In ogni caso, penso che la novità maggiore di quest’opera sia l’idea che un reverendo partecipi attivamente alle indagini, che riesca a dare una mano, l’originalità dell’opera stia nell’idea di una capacità deduttiva che si distacchi da quelle di Poirot, Holmes, Dupin, Maigret e simili. E questo mi pare un punto degno d’interesse.
Dunque se oggi, dopo aver letto questo libro, tornassi a chiedermi da cosa si possa giudicare un giallo deduttivo, non saprei che cosa rispondere, posso solo dire che si arriva rapidamente alla fine di Delitto in Cornovaglia e che, almeno per quanto mi riguarda, non sono riuscito a capire prima del reverendo Dodd chi fosse l’omicida di Julius Tregarthan. Ma è pur vero che lui aveva dei dati a disposizione che io non possedevo e di cui non ero stato messo a conoscenza.
Giorgio Pozzessere