Sanguina ancora. L’incredibile
vita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij
di Paolo Nori
di Paolo Nori
Mondadori, 2021
pp. 287
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È per molti versi ingannevole, il frontespizio di questo nuovo
volume firmato da Paolo Nori. Innanzitutto non si tratta di un vero e proprio romanzo,
quantomeno nella sua accezione tradizionale, in secondo luogo, la vita di
Dostoevskij viene sì affrontata, ma diventa filo conduttore per la più ampia
dichiarazione d’amore dell’autore nei confronti della letteratura russa nel suo
complesso.
Chi abbia letto I russi sono matti (recensito qui) sarà felice di ritrovare in
questo scritto lo stesso taglio e la stessa prosa fluida, piena di
digressioni e parentesi aperte che si inanellano le une sulle altre. È un
affabulatore consapevole, Nori, che riprende e sviluppa alcuni temi già
accennati nel volume UTET, come del resto confessa fin da subito, e non senza
ironia:
Ci son due cose che mi dispiacciono, in quello che sto per scrivere: la prima, è che sto per scrivere una cosa che ho già scritto in altri libri (succede anche a Dostoevskij, di ripetere le cose da un libro all’altro, ma a me di più); la seconda, che la cosa che sto per scrivere è un po’ immodesta. (p. 18)
I due soggetti sono sempre compresenti nell'opera:
Dostoevskij e Nori, affiancati non già perché il secondo ambisca a mettersi
sullo stesso piano del primo, ma perché sa bene che il grande autore russo è
inestricabilmente legato alla sua propria vita, perché l’esistenza (e quindi la
biografia) di Fëdor Michajlovič, quel “pazzo
benedetto che mette per iscritto le domande che tutti noi ci facciamo e che non
osiamo confessare a nessuno” (p. 10), ha profondamente contribuito a fare
dello scrittore parmense Paolo Nori quello che è ora.
Tutto è iniziato quando, a quindici anni, aveva
aperto un libro del nonno che non aveva la copertina e aveva iniziato a leggere
senza poter smettere: aveva tra le mani Delitto
e castigo e quel pomeriggio si era aperta la prima ferita. Nori parte da
qui, narrandoci il modo in cui Dostoevskij ha inciso la sua anima e il sangue
che ne è sgorgato non ha ancora smesso di scorrere:
I romanzi di Tolstoj, e di Dostoevskij, sono opere d’arte perché non parlano solo la lingua “superiore dell’arte”, […] parlano di me, delle mie miserie, delle mie paure, delle mie ferite, della mia famiglia, del mio essere solo, senza un babbo, senza una mamma, a cinquantasette anni, un ridicolo, vecchio orfano parmigiano che abita a Casalecchio di Reno. (p. 156)
Nel mettersi a nudo tra le pagine, nel mostrare
la carne esposta, Nori riesce a convincerci che la sua ferita è ferita di tutti
(anche di chi ancora non lo sa) e che la letteratura russa in generale e
Dostoevskij in particolare parlano al presente. Per questo spesso, dopo aver
raccontato un qualche aneddoto, o riferito di un personaggio o di un romanzo, Nori si chiede e ci chiede: “E noi?”. Perché la letteratura ci interpella, ci obbliga a interrogarci e a darci
una risposta. Che tipo di persone siamo? La stiamo davvero vivendo, la nostra
vita, o siamo anche noi, come Oblomov o l’uomo del sottosuolo, “uomini
superfui”? Come nelle poesie del Dolce Stil Novo non viene descritta
direttamente la Donna Angelo, ma l’effetto che produce sugli uomini che la
incontrano, così in questo testo noi vediamo la letteratura russa nel
suo deflagrare, nelle lacerazioni insanabili che infligge ai suoi lettori di
ogni età.
Non si deve però temere che la scrittura risulti
ombrosa, o le riflessioni drammatiche: il proseggiare dell’autore è
continuamente rischiarato da lampi d’umorismo,
da un gusto vivissimo per la rappresentazione vivida e a tratti colorita degli
episodi che coinvolgono scrittori e opere, non solo nella Russia ottocentesca
ma anche nella nostra contemporaneità.
Nori esibisce un atteggiamento caustico, persino dissacrante
nei confronti del canone, di quei pensatori considerati imprescindibili (come
Walter Benjamin, Heidegger, persino Freud), solo nei confronti dei russi la
devozione pare immutata. Eppure, a ben guardare, quello che viene offerto di
Dostoevskij è un ritratto tutt’altro che
idealizzato: se ne mostrano i meriti ma anche le fragilità, come uomo e
come narratore, le vette come le cadute. Personaggio complesso, “dall’aspetto
insignificante, goffo, calvo, un po’ gobbo, vecchio fin da quando è giovane,
uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo così simile a noi,
che riesce a morire nel momento del suo più grande successo” (p. 10), Fëdor
Michajlovič non necessariamente ci piace,
ma certamente non ci lascia indifferenti, soprattutto perché – mentre ne
tratteggia la vita – Nori si cala a fondo nelle opere, mostrandoci senza
dirceli esplicitamente tutti i motivi per cui dovremmo correre a leggerle.
La ricorsività del discorso, che lascia e riprende,
si allontana e ritorna continuamente sui suoi passi, in un’elasticità narrativa
che rappresenta uno dei suoi punti di forza, viene ben valorizzata anche nell’audiolibro,
letto da Nori stesso e disponibile su Audible. E se da un lato la lettura del cartaceo
agevola la sottolineatura dei molti punti di interesse, l’ascolto restituisce
alla prosa di Sanguina ancora quel
carattere di oralità che la rende originale e trascinante.
Carolina Pernigo
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